Le persone ridotte a "peso" per la società nei manifesti della propaganda nazista. |
In
occasione del “Giorno della memoria”, sabato 27 gennaio, nel commemorare le
vittime della Shoah, credo sia importante soffermarsi anche su un altro capitolo
della violenza nazista, forse meno noto, ma non per questo meno tragico, ossia
il cosiddetto “Programma di eutanasia”, in cui, tra il 1939 e il 1945,
trovarono la morte circa 200.000 persone con disabilità o con disturbi psichici
(oltre 70.000 nell’ambito della sola Aktion T4). R. Hilberg, nel suo importante
studio “La distruzione degli ebrei d’Europa”, afferma che: “L’eutanasia era la
prefigurazione concettuale e nello stesso tempo tecnica e amministrativa della
“soluzione finale” che sarebbe stata attuata nei campi di sterminio”. Nell’ambito
del “programma di eutanasia”, gli assassini furono prevalentemente medici, infermieri
e personale ausiliario. I bambini furono le prime vittime, a
partire dall’estate del 1939, in seguito lo sterminio si estese agli adulti,
articolandosi in “Aktion T4” (in appositi centri di uccisione tramite
l’utilizzo, per la prima volta, delle camere a gas), “Aktion 14f13” (nei campi
di concentramento) ed eutanasia selvaggia (in ambito ospedaliero).
Alice
Ricciardi von Platen, membro della “Commissione di osservatori” inviata al “Processo dei medici” di Norimberga, nell’introduzione al suo testo del 1948 “Il nazismo
e l’eutanasia dei malati di mente” ammoniva: “La dimensione raggiunta
dall’Eutanasia negli istituti tedeschi dimostra come, una volta intrapresa
la strada dell’annientamento delle cosiddette vite indegne, non ci siano
più limiti […] Nell’epoca dell’interesse collettivo, evidentemente, il diritto
del singolo alla tutela statale non è più un fatto scontato. Ma se le tendenze
distruttive dovessero avere il sopravvento, l’interesse collettivo si
trasformerebbe in minaccia di sterminio nei confronti degli individui malati e
indifesi”. Questi concetti sono stati, successivamente, ripresi e ampliati dall’autrice
che in un intervento nel corso di un convegno, svoltosi a Bolzano nel 1995,
ricordava come “prevalga ancora oggi una concezione puramente scientifica del
mondo e dell’uomo, che paragona l’uomo a una macchina”, evidenziando che “di
fronte agli enormi costi del sistema sanitario, i valori economici balzano
nuovamente e pericolosamente (poiché spesso espressi senza alcuna ponderazione)
in primo piano”. Ammonimenti che conservano intatta la loro attualità, soprattutto
in relazione al perdurare della tendenza a presentare la vita e il rispetto dei
diritti delle persone con maggiori bisogni quasi esclusivamente in termini di
costi per la società, con tutti i rischi che questo comporta in periodi di
crisi economica.
La
giornata della memoria è anche occasione per riflettere e prendere posizione di
fronte al riemergere e al preoccupante diffondersi di questa prospettiva
discriminatoria e delle sue pericolose ricadute politiche e sociali. Penso,
infatti, che le morti del passato ci riguardino ogni volta in cui non ci indigniamo
e non portiamo il nostro contributo, per quanto piccolo possa essere, per
combattere ingiustizie e violazioni dei diritti. Il fatto che, oggi come
allora, ci sono persone che non voltano lo sguardo, che si battono per la
dignità, la garanzia e il rispetto dei diritti di tutti, è, credo, non solo testimonianza,
ma anche speranza per tutti noi.
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