Il Covid-19 è, purtroppo, recentemente entrato nella Casa di Reclusione di Asti contagiando un numero rilevante di persone ristrette e di agenti. La tempestiva somministrazione dei vaccini e l’assunzione di specifiche misure sanitarie sembrano avere contenuto la diffusione del virus che, tuttavia, ha contribuito ad alimentare timori e ad amplificare preesistenti criticità con inevitabili ricadute negative sull’intera comunità penitenziaria.
In
particolare in relazione alla prevenzione della diffusione del virus, per cui
il distanziamento fisico assume un’importanza determinante, la questione del
sovraffollamento degli istituti penitenziari rappresentava sin dall’inizio
della pandemia un diffuso elemento di preoccupazione, come emergeva già un anno
fa anche dal richiamo di Papa Francesco: “Ho letto un appunto ufficiale della
Commissione dei Diritti Umani che parla del problema delle carceri
sovraffollate, che potrebbero diventare una tragedia. Chiedo alle autorità di
essere sensibili a questo grave problema e di prendere le misure necessarie per
evitare tragedie future”. Tali parole erano sottolineate dal Garante nazionale
dei diritti delle persone private della libertà, Mauro Palma: "Ponendo
l'accento sulla gravità dell'ingresso del virus in un mondo chiuso, del rischio
per chi qui vive e lavora, della situazione esplosiva negli istituti di pena,
il Papa ha voluto ricordare che anche il carcere è parte di tutti noi e della
società nella sua complessità''.
Con
l’arrivo della pandemia era ben chiaro, quindi, che il tema del
sovraffollamento delle carceri da condizione oggettiva di trattamento
degradante (per cui l’Italia è stata in passato condannata dalla Corte Europea
dei diritti umani), era diventato anche una questione di salute pubblica. A
livello nazionale si è cercato di agire immediatamente sbloccando percorsi di accesso
a misure alternative alla pena detentiva che prima erano negati e/o non presi
in considerazione (elemento su cui sarebbe opportuno fare qualche riflessione).
Le persone detenute in carcere in Italia sono così passate da 61.230 a febbraio
2020 a 53.697 a febbraio 2021, con una parziale ma insufficiente diminuzione del
tasso medio di affollamento che è rimasto al 106,2%, rendendo difficilmente
comprensibile, come affermato sul recente Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, il
fatto che continuino ad essere ristrette 19.040 persone con un residuo pena
inferiore ai tre anni, dunque potenzialmente ammissibili a una misura
alternativa alla detenzione, quando “se solo metà di loro ne fruisse si
risolverebbe in gran parte del problema dell’affollamento carcerario italiano”
(senza dover così assecondare il presunto bisogno di nuove costruzioni).
Concentrando
lo sguardo sulla situazione astigiana, sempre dal Rapporto di Antigone emerge
come la Casa di Reclusione di Quarto registri un tasso di sovraffollamento del
146,3% (ben al di sopra della soglia da rispettare, il peggiore in Piemonte e
tra i peggiori in Italia). La presenza media di 300 persone detenute a fronte
di una capienza massima di 205 posti ha, infatti, determinato il protrarsi di
una situazione preoccupantemente pericolosa nel corso della pandemia, in cui l’indice
di affollamento dell’istituto è rimasto costantemente sopra ogni prudente
soglia di sovraffollamento, nonostante le indicazioni degli organismi di
garanzia e sanitari, internazionali e nazionali, come ha evidenziato il Garante
regionale Mellano.
Il problema del sovraffollamento dell’istituto astigiano (e di tutte le sue conseguenze umane, sociali e sanitarie) forse avrebbe dovuto essere affrontato da tempo, ma ad oggi, anche in relazione alla recente diffusione del virus, è ormai chiaro come sia necessario considerarlo una questione non più rimandabile. Purtroppo, però, tale aspetto sembra quasi scomparire nelle dichiarazioni istituzionali e nel dibattito pubblico, rischiando di alimentare il diffondersi, come stigmatizzato dal Garante nazionale Mauro Palma, di fenomeni “di richiesta populista di penalità, di diminuzione della pietas e di irrazionalità nell’intervento penale”.
Il tema del sovraffollamento, seppur prioritario, non è certo l’unico da affrontare ma si affianca (sovente con ripercussioni negative), ad altre problematiche come la sospensione a tempo indefinito delle attività formative e lavorative, le carenze di personale, …, e, più in generale, la possibilità di garantire la finalità rieducativa della pena, come previsto dall’articolo 27 della Costituzione.
È importante tener conto della complessità di tale quadro e delle sue croniche criticità che si ripercuotono sull’intera comunità penitenziaria, per non correre il rischio di limitarsi a letture securitarie, spesso parziali, e senza dimenticare mai, come sottolineato nelle recenti e promettenti dichiarazioni della Ministra della Giustizia Cartabia nel suo discorso al DAP, che “Il carcere è davvero un luogo di comunità, dove il benessere di ciascuno alimenta quello di tutti e dove il disagio, la paura, la malattia di uno si riverbera su tutti. Anche sotto questo profilo la pandemia ha operato come una lente di ingrandimento portando in evidenza ciò che il carcere è, ciò che lo contraddistingue in tutti i suoi aspetti. Non trascuriamo mai questa dimensione comunitaria che lega profondamente tutti e ciascuno”.
Domenico Massano
N. B.: vedi anche: Chi ha varcato la soglia: il carcere di Asti, la città e il Covid-19; Gazzetta Dentro 2020: uno spiraglio tra carcere e società.
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