Mercoledì 22 maggio si è disputata, nel corso del torneo Sottana a Mestre, la partita di calcio “giovanissimi” tra Treporti e Miranese. Ad arbitrare, la ventiduenne Giulia N. che, per tutto il corso della partita, ha dovuto subire gli insulti sessisti (“meglio prostituirti che fare l'arbitro”, …), vomitati in campo da un gruppo di genitori, nell’assordante e complice silenzio di tutti i presenti (società e spettatori). La situazione è ulteriormente degenerata quando un giocatore quattordicenne del Treporti si è calato i calzoncini di fronte a lei, insultandola e mimando atti sessuali.
E’ difficile immaginare cosa abbia provato sul campo Giulia e quali segni lascerà dentro di lei quanto avvenuto, che non può essere derubricato esclusivamente a un episodio frutto di cattiva educazione e/o inconsapevole superficialità.
Si tratta, infatti, dell’ulteriore segnale di slatentizzazione e diffusione della violenza discriminatoria sessista nel mondo del pallone. Prodromi di questo episodio, infatti, li possiamo rintracciare negli ultimi mesi sia nei commenti su canali nazionali dei giornalisti sportivi (ed ex calciatori) Collovati e Costacurta (“una donna non capisce come un uomo”, “tu – moglie – non lo dici altrimenti vai via di casa”), sia, in particolare, nella vergognosa telecronaca in diretta del loro collega Sergio Vessicchio su CanaleCinqueTv (“È uno schifo vedere le donne venire a fare gli arbitri …”).
Il problema riguarda tutto il mondo del pallone e solo un’assunzione di coscienza e di responsabilità a ogni livello (federazione, dirigenti, tecnici, giocatori, genitori, commentatori, tifosi, ...) può contrastarlo. Parallelamente, però, tali fatti interrogano l’intera società che, se non vuole smarrire del tutto la sua dimensione umana, non può più restare inerte di fronte alla progressiva normalizzazione di un linguaggio razzista, sessista, abilista, omofobo che, spesso, fa da sfondo e si accompagna allo sdoganamento di pulsioni violente e discriminatorie di cui, purtroppo, sempre più persone sono vittime.
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