Derman Tamimou aveva 29 anni, era arrivato in Italia dal
Togo e, nella notte tra il 6 e il 7 febbraio, ha intrapreso il suo ultimo
viaggio per varcare il confine con la Francia. Un camionista ne ha scorto il
corpo semiassiderato e rannicchiato tra la neve ai bordi della statale del
colle di Monginevro. Nonostante l’immediato trasporto all’ospedale di Briancon,
Derman è morto poco dopo.
E’ difficile immaginare cosa abbia pensato e provato
Derman negli ultimi istanti della sua vita, prima di perdere conoscenza per il
gelo invernale.
Quali sogni, speranze, ricordi, … quanta fatica, rabbia,
paura …
Potrebbe essere tranquillizzante pensare a questa
morte come tragica fatalità e derubricarla a freddo numero da aggiungere alla lista di migranti morti nella ricerca di un futuro migliore in Europa. Eppure
quell’interminabile lista parla a ognuno di noi. Racconta di vite interrotte
che, anche quando non se ne conosce il nome, ci richiamano a una comune umanità
da cui non possiamo prescindere per non smarrire noi stessi. A volte lo ricordiamo quando scopriamo, cucita nel giubbotto di un quattordicenne partito
dal Mali e affogato in un tragico naufragio nel 2015, una pagella, un bene
prezioso con cui presentarsi ai nuovi compagni di classe e di vita. Altre volte
lo ricordano i versi di una poesia “Non ti allarmare fratello mio”, ritrovata
nelle tasche di Tesfalidet Tesfon, un giovane migrante eritreo, morto subito
dopo il suo sbarco a Pozzallo, nel 2018, a seguito delle sofferenze patite
nelle carceri libiche e delle fatiche del viaggio: “È davvero così bello vivere
da soli, se dimentichi tuo fratello al momento del bisogno?”.
E’ davvero così bello?
L’estate scorsa, lungo la strada in cui ha perso la
vita Derman Tamimou, si poteva ancora trovare un ultimo luogo di soccorso e
sostegno per chi cercava di attraversare il confine. Un rifugio autogestito che
è stato sgomberato in autunno, con l’approssimarsi dell’inverno, senza alcuna
alternativa di soccorso locale per i migranti. Per chiunque fosse passato da
quei luoghi non era difficile prevedere i rischi che questa chiusura avrebbe
comportato. Bastava fermarsi, incontrare e ascoltare i migranti, i volontari e tutte
le persone che cercavano di portare aiuto e solidarietà, nella convinzione che
non voltare lo sguardo di fronte a sofferenze, rischi e fatiche altrui sia l’unica
strada per restare umani.
Incontri che una
bambina di nove anni, in quelle che avrebbe voluto fossero le sue “Montagne
solidali”, raccontava così: “Oggi
da Bardonecchia, dove in stazione c'è un posto in cui aiutano i migranti che
cercano di andare in Francia, siamo andati in
altri due posti dove ci sono i migranti che si fermano e ricevono aiuto nel
loro viaggio, uno a Claviere e uno a Briancon. In questi posti ci sono persone
che li accolgono, gli danno da mangiare, un posto dove dormire, dei vestiti per
ripararsi dal freddo, danno loro dei consigli su come evitare pericoli e non
rischiare la loro vita nel difficile percorso di attraversamento del confine
tra Italia e Francia tra i boschi e le montagne. I migranti, infatti, di notte
cercano di attraversare i boschi e questo è difficile e pericoloso, perchè
possono farsi male o rischiare la loro vita cadendo da un dirupo. I migranti
scelgono di affrontare il loro viaggio di notte perchè è più difficile che la
polizia li veda e li faccia tornare indietro. A volte, per sfuggire alla
polizia si feriscono per nascondersi o scappare. Nel centro dove sono stata a Claviere, alcuni migranti avevano delle ferite,
al volto e sulle gambe, causate durante i tentativi di traversata. Infatti i
migranti provano tante volte ad attraversare le montagne, di solito solo dopo
la quarta o quinta volta riescono a passare. La traversata è sempre molto
pericolosa, perchè non conoscono le montagne e le strade da percorrere, ma
soprattutto in inverno le cose sono più difficili perchè con la neve, il
freddo, senza i giusti vestiti e scarpe, del cibo caldo e non conoscendo la
strada tutto è più rischioso. Lo scorso inverno, sul Colle della Scala, sono
morte diverse persone
provando a fare questo viaggio.
Anche
le persone che li aiutano sono a rischio, perchè solo per aver dato loro da
mangiare, da dormire e dei vestiti possono essere denunciate e arrestate. Oggi
sette ragazzi sono in carcere per questo. Io penso che non è giusto essere
arrestati quando si aiutano le persone.
A
Briancon, dove aiutano i migranti che hanno appena attraversato il
confine, ho visto alcuni bambini e
questa cosa mi ha colpito molto perchè vuol dire che sono riusciti a fare un
viaggio così lungo e faticoso attraverso i boschi e le montagne. Qui ho
conosciuto la signora Annie, una volontaria che aiuta i migranti appena
arrivati in Francia, una signora gentile e molto forte, che è stata chiamata 8
volte ad andare dalla polizia per l'aiuto che sta dando ai migranti, ma lei
sorride e continua a farlo, perchè pensa che non aiutarli sia un'ingiustizia.
Le
persone che ho visto, tra i migranti, mi sembravano persone uguali a noi, non
capisco perchè tutti pensano che siano diverse da noi.
Secondo me aiutare le persone, in questo caso i
migranti, è una cosa bella”.
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