La criminalizzazione dei bisogni: gli sgomberi dei migranti di Roma e Asti.

Neyestani

Lo sgombero dei rifugiati Eritrei ed Etiopi a Roma non sembra essere solo uno spiacevole episodio frutto di una cattiva gestione delle politiche migratorie. 
Se ad esempio lo si legge tenendo presente un analogo episodio accaduto un mese prima nella città di Asti, e che ha coinvolto tre famiglie magrebine (15 persone tra cui 6 minori), si può pensare che non si tratti di un caso isolato, bensì di una strategia di gestione delle emergenze basata sull’uso della forza, sulla criminalizzazione dei bisogni e sulla contrazione dei diritti. (Sgombero Asti)

Rifugiati Eritrei ed Etiopi che avevano trovato come unica soluzione abitativa l’occupazione pacifica di una palazzina in via Curtatone a Roma, sono sgomberati dallo stabile, e dalla vicina piazza Indipendenza, con l’uso della forza e senza alcuna prospettiva abitativa condivisa e dignitosa. All’indignazione e allo sgomento per quanto successo, credo debba accompagnarsi una riflessione sulla situazione del nostro Stato riguardo alla sua capacità di riconoscere e di rispondere ai bisogni e ai diritti delle persone. A luglio, circa un mese prima dello sgombero di questi giorni nella Capitale, nella piccola città di Asti si era verificato un episodio molto simile (http://www.domenicomassano.it/2017/07/uno-sgombero-preoccupante-40-agenti-per.html). Uno spropositato schieramento di forze dell’ordine (circa 40 agenti di cui almeno la metà in assetto antisommossa), per lo sgombero di tre famiglie magrebine (in tutto 15 persone di cui 6 minorenni) e la loro successiva dispersione (uomini in dormitorio, donne e bambini in comunità), nonostante occupassero da diversi anni lo stabile senza aver mai provocato problemi e fossero integrate nel tessuto cittadino. Pur nell’evidente differenza numerica delle persone interessate nei due sgomberi, si possono rilevare diverse similitudini, soprattutto nell’uso/abuso spropositato della forza in entrambe le situazioni, nella quasi totale assenza di precedenti percorsi di negoziazione con gli occupanti, nella ricollocazione delle persone secondo logiche prettamente assistenzialistiche e istituzionali, e nel silenzio da parte di dirigenti e funzionari dei rispettivi servizi sociali relativamente ai criteri e alle modalità operative adottate. Tali continuità testimoniano non solo l’assenza di valide politiche e strategie inclusive per migranti, rifugiati e richiedenti asilo, ma sembrano anche essere sintomo di una deriva securitaria in atto nel nostro paese che, in questo caso, ha trasformato un problema abitativo in una questione di ordine pubblico, ma che potrebbe, in prospettiva, considerare qualsiasi altro bisogno, cui sia difficile trovare una risposta, come colpa o, peggio, come crimine, con tutte le conseguenze che questo comporterebbe (soprattutto in termini di rispetto dei diritti e della dignità delle persone). Credo che questi sgomberi ci riguardino tutti, in misura ben maggiore di quel che potremmo pensare.