Una circolare che chiude la speranza nelle carceri?

La recente circolare 21/10/2025.0454011.U del DAP (il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia) che va ad incidere sulle richieste di provvedimenti autorizzatividegli eventi di carattere educativo, culturale e ricreativo che si intendono realizzare presso gli istituti penitenziari, ha suscitato da più parti preoccupazioni e critiche ben sintetizzate nelle parole del portavoce della Conferenza Nazionale dei Garanti, Samuele Ciambrello, “Questa circolare rischia di mettere una pietra tombale sulle iniziative di inclusione sociale negli istituti, in particolare per il circuito di Alta Sicurezza”, ed in quelle del Garante della regione Lazio, Stefano Anastasia, “Dalle celle chiuse alle carceri chiuse, è un attimo. Un balzo all’indietro di più di quarant’anni”.

La circolare prevede, infatti, prescrizioni che vanno ad impattare direttamente sulle attività e progettualità trattamentali del circuito Alta Sicurezza, di cui la Casa di reclusione di Asti fa parte. La principale novità che introduce è che ogni iniziativa di tipo culturale, educativo e ricreativo deve essere autorizzata dalla Direzione generale dei detenuti e del trattamento a Roma. Questo anche nel caso di progetti che nel medesimo istituto coinvolgano soltanto persone ristrette in media sicurezza. Quindi tutte le istanze di tutti gli istituti del circuito A.S. in Italia che prima potevano essere rivolte alla singola Direzione dell’Istituto, che dopo aver espresso parere favorevole la trasmetteva al magistrato di sorveglianza locale per l’autorizzazione, dovranno essere indirizzate al DAP a Roma, creando una centralizzazione ed una ulteriore burocratizzazione che, tra le altre cose, è facile possano creare un “effetto imbuto”, allungando i tempi di autorizzazione e rischiando di ritardare, se non bloccare, lo svolgimento di eventi (spettacoli, presentazioni di libri, laboratori, incontri sportivi, …) e lo sviluppo di progetti educativi e culturali.

Tra le varie prescrizioni vi è, poi, la richiesta di trasmettere con “congruo anticipo”, le istanze e, quando sia prevista la partecipazione della comunità esterna, l’elenco dei nomi accompagnato dai “titoli” dei partecipanti. Al di là dell’indeterminatezza dell’indicazione di “congruo anticipo”, soprattutto se riferita alla realtà carceraria in cui il fattore tempo ha spesso una dimensione aleatoria, è di difficile interpretazione anche la richiesta dei “titoli” delle persone della comunità esterna, quando non applicata a persone che tengono un corso formativo o un laboratorio, ma a persone che entrano in carcere per assistere ad uno spettacolo o alla presentazione di un libro.

La Circolare prevede, inoltre, che “per ogni evento, progetto, iniziativa da svolgersi all’interno degli Istituti, l’organizzazione e la gestionedegli stessi dovrà sempre rimanere in capo alle Direzioni, evitando che la programmazione delle azioni e le scelte organizzative siano esternalizzate”. Una prescrizione che sembra limitare fortemente l’autonomia dei soggetti esterni, anche di quelli che, nell’ambito di consolidate collaborazioni e di progettualità e protocolli condivisi ed approvati, nel corso degli anni hanno portato tanto in termini di progettualità, di interventi trattamentali, di contributi sociali, culturali ed umani, sia negli Istituti sia nelle diverse comunità.

Per quanto riguarda la realtà astigiana questa circolare potrebbe andare ad incidere, quantomeno complicandone la realizzazione, su diverse attività che hanno coinvolto il territorio (incontri con le scuole, spettacoli teatrali, presentazioni di libri, percorsi di sensibilizzazione alla giustizia Riparativa, incontri in redazione ed in teatro, …), che sino ad oggi si sono svolte in collaborazione con la Direzione e con il personale dell’Istituto e che si collocano nel solco della Costituzione e della normativa penitenziaria: “Il trattamento del condannato è svolto … agevolando opportuni contatti con il mondo esterno”, “La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all’azione rieducativa” (artt. 15 e 17 L. 354/75 sull’Ordinamento Penitenziario); La direzione dell’istituto promuove la partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa”(art. 68 DPR 230/2000 Regolamento Ordinamento penitenziario).

Nel corso degli anni è emerso in maniera evidente il valore e la generatività delle diverse attività che hanno coinvolto la comunità esterna, come, a titolo esemplificativo, ben evidenziato dalle testimonianze di una persona detenuta e di una docente che con gli studenti della sua classe ha partecipato al progetto di scrittura congiunta del libro “Una penna per due mani” (conclusosi la scorsa primavera e che ha ricevuto diversi riconoscimenti tra cui e la presentazione al Salone del libro di Torino e il 2° posto al premio Mariangela Cotto). La docente presentava la fase conclusiva del progetto in carcere con queste parole: “Particolarmente toccante è stato l’ultimo incontro, quando studenti e detenuti, scambiandosi i testi che avevano scritto a mano, si sono potuti confrontare su fatti di attualità ed esperienze personali, anche molto drammatiche. Un momento che dimostra come sia possibile, oltre che doveroso, appropriarsi di uno spazio solitamente isolato dalla città affinché i detenuti, grazie ad una relazione costante e costruttiva con il mondo esterno, possano riappropriarsi della loro vita, anche se condannati all’ergastolo”. Alle parole della docente facevano eco quelle di una persona detenuta: “Sapete qual è stato l’aspetto d’importanza fondamentale? Il ruolo di ponte. Per chi si ritrova in carcere, quindi allontanato dalla società, parlare con qualcuno che non sia solo un parente, o l’avvocato, vuol dire prima di tutto essere riconosciuto come persona, rispettato, e in un certo qual modo rinascere socialmente. Gettare via la chiave e marcire in galera sono il linguaggio di una indifferenza cronica e aberrante. Alla società giungono informazioni stereotipate sul carcere e sui detenuti; una delle tante realtà positive è questa: Una penna per due mani, un incontro tra studenti e detenuti, una crescita ed esperienza di vita culturale ed umana dentro il carcere di Asti”.

Sarà ancora possibile sviluppare progettualità di questo tipo e promuovere altre esperienze simili di scambio e crescita umana e culturale all’interno del carcere di Asti, così come negli altri istituti del circuito A.S.? Oppure si andranno a penalizzare quelle attività trattamentali e quelle iniziative che proprio grazie al coinvolgimento della comunità esterna concorrono a promuovere il cambiamento e l’apertura di percorsi positivi nelle persone, capaci di generare maggiore sicurezza per tutti? Purtroppo iniziano ad arrivare notizie non molto confortanti, come dal carcere di Padova in cui, applicando la circolare, è stato bloccato un evento culturale già autorizzato in precedenza e che si ripeteva da anni.

In un sistema carcerario in grave crisi, con un numero sempre più tragico di suicidi, con un ormai cronico ed inaccettabile sovraffollamento che aggrava le già difficili condizioni di detenzione, con carenze di personale e scarsità di opportunità trattamentali, questa circolare rischia da una parte di complicare ulteriormente il lavoro e l’impegno di chi, all’interno degli Istituti, cerca costantemente di proporre e promuovere iniziative ed attività con il coinvolgimento del territorio, dall’altra di disincentivare e limitare la partecipazione della società esterna. Questa circolare, pubblicata tra l’altro nel cinquantenario della legge 354/75, rischia, inoltre, di spegnere, o quantomeno rendere sempre più difficile, il dialogo tra i luoghi di detenzione e la società civile, isolando ulteriormente le persone detenute e rendendo sempre più impermeabile ad ogni confronto con la società esterna la realtà carceraria.

Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo 2025 aveva voluto ricordare in primo luogo le persone detenute: “Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. […] Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, io stesso desidero aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita”.

Credo sia importante provare ad ascoltare e tradurre in pratica, anche in una prospettiva laica e di attuazione della Costituzione, i richiami di Papa Francesco, in particolare quello di tenere aperte le porte della speranza nelle carceri e tra queste ed i territori. Oggi più che mai occorre tener viva, come ricordava l’ex Garante nazionale Mauro Palma, “l’ineludibile dialettica tra noi e gli altri in cui si gioca la complessa dinamica che lega identità e convivenza”. È un impegno che riguarda tutte e tutti. Il carcere non è, infatti, un organismo estraneo alla società, ma ne è parte e vi è inevitabilmente collegato interrogandola costantemente perché, richiamando le parole del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky: “La condizione carceraria riguarda coloro che stanno dentro, ma come problema di civiltà è prima di tutto un problema di chi sta fuori”. 

Domenico Massano, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Asti.

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