Introduzione alla difesa personale come strumento di presenza e autoconsapevolezza, in una prospettiva pedagogica.

Sempre più spesso negli ultimi anni, in ambito sociale e sanitario[1], sono proposti dei corsi di prevenzione e gestione degli episodi di aggressività, in cui sono introdotte sia strategie comunicativo-relazionali, sia tecniche di difesa personale. Quando, però, il tema della difesa personale è presentato e trattato autonomamente, rischia di creare fraintendimenti e mal si concilia con il lavoro di cura. Tuttavia la dimensione corporea è un elemento centrale in ogni dinamica aggressiva e sarebbe un errore trascurarla. Anzi, secondo Gardner, riconoscere e sviluppare (anche attraverso la pratica delle arti marziali) un’intelligenza corporeo-cinestetica, “può portare a una maggiore consapevolezza di sé e alla capacità di gestire le proprie reazioni emotive, rafforzare l’empatia e trasformare i conflitti […] può trasformare il modo in cui interagisci con gli altri, rendendoti un comunicatore più attento e rispettoso delle dinamiche non verbali”[2].

In questa prospettiva nelle mie esperienze come formatore, sia individuali che in collaborazione con altri, l’introduzione alla difesa personale è sempre stata occasione per un lavoro sinergico, in cui gli elementi di un sapere e di una consapevolezza corporei non solo si intrecciano con quelli teorici, relazionali e comunicativi, ma li implementano e consolidano, favorendo anche un'attenta analisi delle variabili organizzative ed ambientali alla luce dell'importante ruolo degli spazi dove i corpi si muovono ed interagiscono. Inoltre, osservare le proprie reazioni corporee può essere occasione per acquisire una maggiore consapevolezza anche di quelle emotive, come confermato dai tanti rimandi ricevuti negli anni, attraverso cui ho avuto modo di constatare l’utilità e la generatività di questo approccio[3].

Questo stile formativo è non solo utile da un punto di vista didattico-pedagogico (gli apprendimenti migliorano quando il corpo è coinvolto), ma può anche essere un’operazione profondamente trasformativa, soprattutto se proviamo a guardarla nell’ambito della cornice teorica fornita dagli studi della “Embodied cognition[4] (Cognizione incorporata), che evidenziano lo stretto nesso tra il corpo fisico e l’atto cognitivo secondo uno schema bidirezionale: il mentale diventa (influenza) il fisico e viceversa. Si mette in luce come, ad esempio, alcuni schemi e funzionamenti corporei corrispondano non soltanto a processi sensomotori, ma come siano anche in grado di influenzare l’esperienza emotiva personale.

Particolarmente interessanti i lavori della psicologa Amy Cuddy che afferma: “Il nostro corpo ci parla. Ci dice come e che cosa sentire, persino che cosa pensare. Muta ciò che avviene nel sistema endocrino, nel sistema nervoso autonomo, nel cervello e nella mente, senza che noi ce ne accorgiamo. Espressioni del volto, postura e respiro condizionano, senza dubbio alcuno, il nostro modo di pensare, di sentire e di comportarci”.

Nelle tesi di Cuddy ho ritrovato diversi spunti e riflessioni emersi nei momenti di confronto che periodicamente hanno attraversato le tante giornate formative tenute nel corso degli anni come tecnico di difesa personale MGA[5] e pedagogista. In particolare mi ha colpito, ed ho trovato particolarmente significativo, rilevare un’interessante corrispondenza tra il titolo del suo libro “Presence[6] e quello del corso “Presenti e sicuri”[7] che ormai dal 2011 tengo, insieme all’amico formatore e psicoterapeuta Ezio Farinetti, per l’Università della Strada-Gruppo Abele di Torino.

Cuddy, basandosi su un’imponente mole di lavori scientifici, sottolinea come il nostro esser presenti, la nostra “presenza” nel quotidiano, è strettamente correlata ad alcuni processi e meccanismi psicologici e fisiologici che possono orientarla, consolidarla e, anche quando sfugge nei momenti critici, recuperarla. Il messaggio principale ed il fulcro del suo testo, che ha avuto una diffusione ed un successo globale, è che tali meccanismi “si possono regolare con piccoli aggiustamenti, leggere messe a punto del linguaggio corporeo e dell’impostazione mentale. In una certa misura si tratta di permettere al corpo di orientare la mente”.

Se pensiamo ad un evento stressante o umiliante, il nostro corpo si irrigidisce, il battito accelera, possiamo arrossire o sudare, oppure, se visualizziamo un ricordo felice, il corpo si rilassa, si apre, il volto sorride. È abbastanza chiaro come il nostro linguaggio del corpo, che è strettamente correlato con pensieri e sentimenti, parli agli altri. Ma non è così evidente, anche se è altrettanto vero, che “il nostro linguaggio del corpo parla anche a noi”. Non vi è la stessa consapevolezza del fatto che una postura eretta ed aperta può aumentare la fiducia in sé, oppure che simulare il sorriso (anche forzatamente) può attivare circuiti neurali legati alla felicità, oppure che il modulare il modo in cui camminiamo o in cui respiriamo influisce su umore ed emozioni. Non vi è la stessa consapevolezza del fatto che “Espressioni del volto, postura e respiro condizionano, senza dubbio alcuno, il nostro modo di pensare, di sentire e di comportarci”. La respirazione e le posture non verbali preparano il corpo a essere presente. La sperimentazione di posture e l’apprendimento di tecniche e di schemi corporei, anche solo in un percorso di introduzione alla difesa personale, possono dare molto su diversi piani. La presenza, infatti, ha spesso inizio a livello fisico: nell’esserci. Gli strumenti che ci occorrono per acquisirla sono per lo più azioni così semplici che in genere ne dimentichiamo l’esistenza, come, ad esempio, la respirazione e la postura.

Con queste premesse credo, quindi, che possa essere utile provare a presentare ed analizzare brevemente l’utilità e le potenziali ricadute di alcuni degli insegnamenti, articolati su alcuni concetti preliminari ed intrinseci alle diverse discipline marziali, che rientrano nelle formazioni su gestione aggressività e difesa personale che ho tenuto nel corso degli anni.

 

Respirazione

Il modo in cui respiriamo ha un ruolo fondamentale in ogni momento della nostra vita e non solo nelle discipline sportive. Agire sulla respirazione, controllarla, regolarla, può portare a risultati importanti ed inaspettati, soprattutto nel regolare il nostro stato emotivo. Può capitare a tutti di vivere un momento in cui le emozioni prendono il sopravvento, di sentire il respiro corto e superficiale con un senso di pesantezza al petto e l’impossibilità di respirare a fondo. La respirazione è fortemente legata ai nostri stati d’animo, si può dire che la respirazione sia un ponte tra il sistema nervoso somatico e quello autonomo, l’anello di congiunzione tra corpo e mente. Attraverso questo ponte e con appropriate tecniche si possono controllare le reazioni del sistema nervoso autonomo, in particolare quelle legate all’ansia, alla paura e alla rabbia. Questo è possibile perché, anche se per la maggior parte del giorno e della notte respiriamo senza rendercene conto, se vogliamo possiamo scegliere di regolare consapevolmente il nostro respiro modificandone il ritmo, l’ampiezza e la durata. Così facendo passiamo da un’azione involontaria ad una consapevole. Per averne esperienza basta provare a prendere un bel respiro profondo e poi espirare. Nel compiere questo atto si interrompe l’automatismo della respirazione e si sposta il controllo della stessa dal sistema nervoso autonomo a quello somatico.

La respirazione diaframmatica, o addominale, può essere molto utile in tal senso. Utilizzare il diaframma, un muscolo coinvolto in molte funzioni corporee, porta, infatti, diversi benefici fisici e favorisce rilassamento, maggiore consapevolezza corporea, gestione dello stress e benessere generale. Un esercizio semplice per acquisire questa modalità di respirazione, alternativa a quella toracica, è di assumere una posizione comoda, sdraiati o seduti, posizionare una mano sul petto e una mano sulla pancia per controllarne i movimenti, inspirare lentamente dal naso cercando di far andare tutta l’aria verso il basso espandendo l’addome, espirare poi lentamente contraendo leggermente l’addome e facendo fluire l’aria dalla bocca. Una particolare tecnica di respirazione diaframmatica[8], la respirazione autogena (o tattica), prevede un ciclo ritmico di inspirazioni ed espirazioni, da ripetersi per alcune volte. È particolarmente semplice ed efficace nelle situazioni stressanti per rallentare il battito cardiaco, ridurre il tremore delle mani, inducendo una progressiva tranquillizzazione mentale e normalizzazione dei parametri fisiologici, ed aiutando a recuperare un senso di calma ed auto controllo.

 

Grounding (radicamento)

Nelle arti marziali e nella difesa personale, avere un buon contatto con il suolo o con il tatami, essere ben radicati a terra, oltre ad essere strettamente legato alla postura e con essa alla base di ogni tecnica, è anche indice di buon autocontrollo, padronanza di sè e conoscenza del proprio corpo. La rilevanza di tale aspetto, non solo in ambito sportivo, è stata evidenziata dai lavori di Lowen sulla bioenergetica[9], che hanno anticipato diversi concetti sviluppati poi nell’ambito della Embodied cognition. Una tesi fondamentale della bioenergetica è che il corpo e la mente funzionalmente sono identici e si possono influenzare reciprocamente: quello che si pensa può influenzare il modo in cui ci si sente e il contrario è ugualmente vero. Ciò determina il fatto che, come abbiamo visto in precedenza, i cambiamenti della personalità possono essere condizionati da cambiamenti delle funzioni corporee: respirazione più profonda, maggiore motilità, postura ed espressione di sé più piena, aperta e libera. Secondo Lowen, però, questa interazione è principalmente limitata agli aspetti consci o superficiali della personalità e non tiene sufficientemente conto del fatto che ad un livello più profondo, cioè al livello dell'inconscio, sia pensare che sentire sono condizionati da fattori energetici. Nella sua prospettiva attraverso gli esercizi di radicamento, si può descrivere e rafforzare l’aderenza dal punto di vista energetico con la realtà.

L’esercizio di base per il “grounding” o contatto col suolo, descritto da Lowen, ha la funzione di stabilire una connessione energetica fra piedi e terreno iniziando a far percepire le vibrazioni nelle gambe. Bisogna stare in posizione eretta, con le ginocchia leggermente piegate, i piedi distanziati con le punte rivolte in dentro e flettendo il busto in avanti andare a toccare il pavimento con le dita delle mani, continuando a respirare liberamente e a fondo, poi raddrizzare le ginocchia lentamente e mantenere la posizione per circa un minuto.

Bioenergeticamente parlando, l’essere ben radicati ha la stessa funzione che svolge la terra in un circuito elettrico ad alta tensione. Fornisce una valvola di sicurezza per la scarica dell’eccitazione in eccesso. Quanto più un individuo sente il contatto con il suolo, tanto più può mantenere la propria posizione, tollerare un livello maggiore di carica e affrontare più sensazioni ed emozioni.

 

Postura e gestione spazio

La postura può essere intesa come l'adattamento personalizzato di ogni individuo all'ambiente fisico, psichico ed emozionale. A differenza di una posizione che è una configurazione momentanea, quando si parla di postura ci si riferisce all'atteggiamento strutturale e funzionale che il corpo assume in modo più profondo e continuo. Nelle arti marziali e nella difesa personale non si guarda primariamente alle singole posizioni, ma al complessivo assetto del corpo, sia in forma statica che dinamica. La postura, infatti, è basilare per sostenere una qualunque azione tecnica. La postura corretta con schiena dritta e in estensione, testa alta, sguardo di fronte a sè, baricentro allineato, ginocchia leggermente piegate, un buon piano d’appoggio e radicamento al suolo è fondamentale per ottenere stabilità, mobilità ed equilibrio (statico e dinamico). Cuddy spiega con alcuni esempi come lo stato d’animo e la postura si influenzino e interagiscano vicendevolmente. Quando, ad esempio, si prova lo stato emotivo della paura, i livelli di cortisolo si alzano e quelli di testosterone si abbassano con una corrispettiva modificazione posturale che vede le spalle curvarsi comunicando una certa chiusura in sé. Al contrario, assumendo una posizione eretta con un’ampia apertura toracica si possono registrare significativi cambiamenti ormonali che vanno in una direzione opposta alla precedente. E ancora; “La postura non dà forma soltanto al nostro modo di sentirci, ma anche a ciò che pensiamo di noi stessi, dalle nostre autodefinizioni alla sicurezza e all’agio con cui le sosteniamo. E tali concezioni di noi possono favorire oppure ostacolare la nostra capacità di connetterci con gli altri, di svolgere il nostro lavoro e, più semplicemente, di essere presenti”.

Come la gestione del corpo, della propria postura e, quindi, del proprio spazio personale ci influenza, lo stesso discorso vale anche per lo spazio interpersonale. Gli studi sulla prossemica di Edward T. Hall, insegnano che esistono diversi tipi di distanze/vicinanze interpersonali, che configurano differenti dimensioni spaziali a seconda dei diversi livelli di confidenza, dei contesti che si occupano, della cultura e dello stato emotivo delle singole persone: “Stare a una certa distanza da un nostro simile ha un significato (per noi e per gli altri, ndr), e il significato cambia con il mutare della distanza”[10]. Quindi non solo la gestione della postura e dello spazio personale, ma anche di quello interpersonale, con relativa adeguata modulazione delle distanze/vicinanze, permetterà di affrontare al meglio le diverse situazioni e manderà a livello inconscio dei messaggi non verbali agli altri e, al contempo, a noi stessi. In ultimo l’attenzione agli spazi personali ed interpersonali, va di pari passo con quella rivolta agli spazi in cui ci si muove e delle possibili variabili ambientali ed organizzative che possono modificarne le caratteristiche o anche solo il modo in cui sono percepiti e vissuti.

 

Autoprotezione e cedevolezza

La difesa personale viene attuata integrando strategie di autoprotezione, di controllo e di contrattacco di volta in volta diverse. Le prime strategie, quelle di autoprotezione, prevedono l'utilizzo di quelle gestualità tecniche che possono non solo minimizzare notevolmente gli effetti lesivi di un’aggressione, ma anche, nella più favorevole delle ipotesi, prevenirla. Le tecniche di autoprotezione, inoltre, se da una parte concorrono a veicolare un messaggio di deterrenza, dall’altra sono azioni assolutamente innocue ed indirizzate contro gli attacchi dell'aggressore e non contro la sua persona.

Un principio fondamentale su cui poggiano diverse tecniche e strategie di autoprotezione, desunto in particolare dal Judo, è il concetto di cedevolezza[11]. Ciò che è flessibile non è necessariamente debole, esso è solo temporaneamente più morbido rispetto a ciò che gli è opposto in quel momento, in quanto più rigido. Nelle varie situazioni in cui si contrappongono flessibilità e rigidità, la flessibilità può essere forte, ovvero essere una forza flessibile, o meglio ancora una flessibilità resistente capace di adattarsi e combinarsi con la forza dell’avversario.

Le gestualità tecniche principali, che dovrebbero con la ripetizione trasformarsi in riflessi motori acquisiti preliminari ad una successiva azione più riflessiva, sono le posizioni di sicurezza (o guardia), i movimenti di spostamento, di arretramento, di schivata, di deviazione, di cadute controllate, di svincolamento e di bloccaggio. Nella pratica il concetto di cedevolezza, di circolarità ed alcuni di questi movimenti, spostamenti e posizioni non sono né immediati, né naturali, ma richiedono esercizio e ripetizioni per essere acquisiti, poiché devono sostituire alcuni riflessi motori spontanei. Sperimentare come si comporta e come reagisce il nostro corpo in rapporto a determinate sollecitazioni, può contribuire ad avere uno sguardo più ampio anche sulle risposte che in maniera reattiva e spontanea si è portati a mettere in campo su altri piani (emotivo, comunicativo, …), aiutando ad avere una gestione più funzionale delle stesse.

 

Conclusioni

Qualche tempo fa mi è capitato di incontrare una persona che aveva frequentato un mio breve corso e che, dopo avermi salutato, ha voluto raccontarmi un’occasione in cui le era stato utile quanto aveva appreso. Lavorava in un servizio a bassa soglia ed una sera si era trovata in una difficile situazione personale in cui, mentre la sua tensione saliva, il semplice spostamento delle gambe, recuperando una posizione di sicurezza e maggior equilibrio, la aveva aiutata a riprendere il controllo di sé e gestire al meglio la situazione stessa che, fortunatamente, si era poi risolta in modo positivo.

Una piccola testimonianza, magari non generalizzabile, ma sicuramente significativa. Spesso la partecipazione corporea in ambito formativo ed educativo è sottovalutata, quasi sminuisca i contenuti teorici, e o non è presente o è trattata in forma separata. Raramente gli aspetti teorici e fisici sono affrontati e visti come interdipendenti.

Gardner attribuisce questa disgiunzione al fatto che nella cultura occidentale recente c'è stata una frattura tra le attività del ragionamento da un lato e le attività del nostro corpo dall'altro. Frattura che è andata via via associandosi alla nozione che ciò che facciamo col nostro corpo sia un po' meno privilegiato, meno speciale, di ciò che eseguiamo principalmente attraverso l'uso del linguaggio.

Forse occorrerebbe sanare questa frattura, ricollegando gli apprendimenti corporei con quelli teorici, non solo perché il farlo sarebbe utile nel favorire gli apprendimenti stessi, che migliorano e si consolidano, ma anche perché sarebbe un’operazione profondamente generativa e trasformativa. Si tratta di una prospettiva che in ambito pedagogico si sta riscoprendo (recuperando alcuni contributi e sollecitazioni delle pedagogie attive[12]), in particolare in alcune correnti come quella della cosiddetta “Pedagogia del corpo”, che si propone di rivisitare criticamente gli abituali scenari dell’educazione, della formazione e della cura, “dove il corpo risulta spesso assente o imbrigliato, semplicemente parlato, per integrare saperi ed esperienze abitualmente separati. La formazione corporea all’educazione è formazione a una presenza, una competenza a esserci”[13].

In conclusione ritengo che nelle varie proposte formative in ambito sociale e sanitario sulla gestione dell’aggressività, si dovrebbe essere maggiormente consapevoli del fatto che attraverso una corretta introduzione alla difesa personale si possono trasmettere le basi di un sapere corporeo che non solo si affianca a quelli teorici, relazionali e comunicativi, ma che li integra ed implementa, favorendo una migliore autoconsapevolezza, un accresciuto senso di autoefficacia[14], una maggiore attenzione agli spazi ed alle variabili ambientali, ed una più approfondita conoscenza di alcuni meccanismi fisici e psichici funzionali sia per gestire relazioni e criticità, sia per orientare e consolidare il nostro essere presenti.

 

Dott. Domenico Massano,

Pedagogista e Insegnante tecnico di difesa Personale MGA (FIJLKAM-CONI)



[2] Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, Feltrinelli, 2013.

[3] In prima persona (plurale). Presenti e Sicuri. Di Bruscia Filippo, https://universitadellastrada.com/blog/in-prima-persona-plurale-presenti-e-sicuri

[4] AA. VV., The Routledge Handbook of Embodied Cognition, Edited by Lawrence Shapiro, Shannon Spaulding, Routledge 2024. Si veda anche: AA.VV., Foundations of Embodied Cognition, Vol. 1-2, Edited by Yann Coello and Martin H. Fischer, Routledge 2016. Per un’introduzione: Embodied Cognition: una nuova psicologia, in Giornale Italiano di Psicologia 1, Marzo 2013.

[5] AA. VV., MGA. Metodo globale di autodifesa, Ed. Mediterranee, 2002.

[6] Cuddy A., Presence, Little, Brown, & Co., 2015. Ed. it. Il potere emotivo dei gesti, Sperling & Kupfer, 2019.

[7] Presenti e sicuri. La gestione di situazioni di scontro e aggressività, di Farinetti Ezio https://universitadellastrada.com/blog/presenti-e-sicuri-la-gestione-di-situazioni-di-scontro-e-aggressivit  

[8] Hopper, Susan I., Murray, Sherrie L., Ferrara, Lucille R., Singleton, Joanne K., Effectiveness of diaphragmatic breathing for reducing physiological and psychological stress in adults: a quantitative systematic review. JBI Database of Systematic Reviews and Implementation Reports 17(9) p. 1855-1876, September 2019.

[9] Lowen A., Bioenergetica, Feltrinelli Editore, 2013.

[10] Hall E. T., La dimensione nascosta, Bompiani 2001

[11] Kano J., Kodokan Judo, Edizioni mediterranee, 2005.

[12] Dewey J., Il mio credo pedagogico, La nuova Italia, 1976; Esperienza ed educazione, Raffaella Cortina Editore, 2013.

[13] Gamelli I., Pedagogia del corpo, Raffaello Cortina Editore, 2011

[14] Bandura A., Autoefficacia: teoria e applicazioni. Erickson, 2000 

Commenti