Introduzione alla difesa personale come strumento di presenza e autoconsapevolezza, in una prospettiva pedagogica.
In
questa prospettiva nelle mie esperienze come formatore, sia individuali che in
collaborazione con altri, l’introduzione alla difesa personale è sempre stata
occasione per un lavoro sinergico, in cui gli elementi di un sapere e di una
consapevolezza corporei non solo si intrecciano con quelli teorici, relazionali
e comunicativi, ma li implementano e consolidano, favorendo anche un'attenta analisi delle variabili organizzative ed ambientali alla luce dell'importante ruolo degli spazi dove i corpi si muovono ed interagiscono. Inoltre, osservare le proprie
reazioni corporee può essere occasione per acquisire una maggiore consapevolezza
anche di quelle emotive, come confermato dai tanti rimandi ricevuti negli anni,
attraverso cui ho avuto modo di constatare l’utilità e la generatività di questo
approccio[3].
Questo
stile formativo è non solo utile da un punto di vista didattico-pedagogico (gli
apprendimenti migliorano quando il corpo è coinvolto), ma può anche essere un’operazione
profondamente trasformativa, soprattutto se proviamo a guardarla nell’ambito
della cornice teorica fornita dagli studi della “Embodied cognition”[4] (Cognizione incorporata),
che evidenziano lo stretto nesso tra il corpo fisico e l’atto cognitivo secondo
uno schema bidirezionale: il mentale diventa (influenza) il fisico e viceversa.
Si mette in luce come, ad esempio, alcuni schemi e funzionamenti corporei
corrispondano non soltanto a processi sensomotori, ma come siano anche in grado
di influenzare l’esperienza emotiva personale.
Particolarmente
interessanti i lavori della psicologa Amy Cuddy che afferma: “Il nostro corpo
ci parla. Ci dice come e che cosa sentire, persino che cosa pensare. Muta ciò
che avviene nel sistema endocrino, nel sistema nervoso autonomo, nel cervello e
nella mente, senza che noi ce ne accorgiamo. Espressioni del volto, postura e
respiro condizionano, senza dubbio alcuno, il nostro modo di pensare, di
sentire e di comportarci”.
Nelle
tesi di Cuddy ho ritrovato diversi spunti e riflessioni emersi nei momenti di
confronto che periodicamente hanno attraversato le tante giornate formative
tenute nel corso degli anni come tecnico di difesa personale MGA[5] e pedagogista. In
particolare mi ha colpito, ed ho trovato particolarmente significativo, rilevare
un’interessante corrispondenza tra il titolo del suo libro “Presence”[6] e quello del corso
“Presenti e sicuri”[7]
che ormai dal 2011 tengo, insieme all’amico formatore e psicoterapeuta Ezio
Farinetti, per l’Università della Strada-Gruppo Abele di Torino.
Cuddy,
basandosi su un’imponente mole di lavori scientifici, sottolinea come il nostro
esser presenti, la nostra “presenza” nel quotidiano, è strettamente correlata
ad alcuni processi e meccanismi psicologici e fisiologici che possono
orientarla, consolidarla e, anche quando sfugge nei momenti critici,
recuperarla. Il messaggio principale ed il fulcro del suo testo, che ha avuto
una diffusione ed un successo globale, è che tali meccanismi “si possono
regolare con piccoli aggiustamenti, leggere messe a punto del linguaggio
corporeo e dell’impostazione mentale. In una certa misura si tratta di
permettere al corpo di orientare la mente”.
Se
pensiamo ad un evento stressante o umiliante, il nostro corpo si irrigidisce,
il battito accelera, possiamo arrossire o sudare, oppure, se visualizziamo un
ricordo felice, il corpo si rilassa, si apre, il volto sorride. È abbastanza
chiaro come il nostro linguaggio del corpo, che è strettamente correlato con
pensieri e sentimenti, parli agli altri. Ma non è così evidente, anche se è
altrettanto vero, che “il nostro linguaggio del corpo parla anche a noi”. Non
vi è la stessa consapevolezza del fatto che una postura eretta ed aperta può
aumentare la fiducia in sé, oppure che simulare il sorriso (anche forzatamente)
può attivare circuiti neurali legati alla felicità, oppure che il modulare il
modo in cui camminiamo o in cui respiriamo influisce su umore ed emozioni. Non
vi è la stessa consapevolezza del fatto che “Espressioni del volto, postura e
respiro condizionano, senza dubbio alcuno, il nostro modo di pensare, di
sentire e di comportarci”. La respirazione e le posture non verbali preparano
il corpo a essere presente. La sperimentazione di posture e l’apprendimento di
tecniche e di schemi corporei, anche solo in un percorso di introduzione alla
difesa personale, possono dare molto su diversi piani. La presenza, infatti, ha
spesso inizio a livello fisico: nell’esserci. Gli strumenti che ci occorrono
per acquisirla sono per lo più azioni così semplici che in genere ne
dimentichiamo l’esistenza, come, ad esempio, la respirazione e la postura.
Con
queste premesse credo, quindi, che possa essere utile provare a presentare ed
analizzare brevemente l’utilità e le potenziali ricadute di alcuni degli insegnamenti,
articolati su alcuni concetti preliminari ed intrinseci alle diverse discipline
marziali, che rientrano nelle formazioni su gestione aggressività e difesa
personale che ho tenuto nel corso degli anni.
Respirazione
Il
modo in cui respiriamo ha un ruolo fondamentale in ogni momento della nostra
vita e non solo nelle discipline sportive. Agire sulla respirazione, controllarla,
regolarla, può portare a risultati importanti ed inaspettati, soprattutto nel
regolare il nostro stato emotivo. Può
capitare a tutti di vivere un momento in cui le emozioni prendono il
sopravvento, di sentire il respiro corto e superficiale con un senso di pesantezza al
petto e l’impossibilità di respirare a fondo. La respirazione è
fortemente legata ai nostri stati d’animo, si
può dire che la respirazione sia un ponte tra il sistema nervoso somatico e
quello autonomo, l’anello di congiunzione tra corpo e mente. Attraverso questo ponte e con
appropriate tecniche si possono controllare le reazioni del sistema nervoso
autonomo, in particolare quelle legate all’ansia, alla paura e alla rabbia. Questo
è possibile perché, anche se per la maggior parte del giorno e della notte
respiriamo senza rendercene conto, se vogliamo possiamo scegliere di regolare
consapevolmente il nostro respiro modificandone il ritmo, l’ampiezza e la durata. Così facendo passiamo da un’azione involontaria ad una consapevole. Per averne esperienza basta provare a prendere un bel
respiro profondo e poi espirare. Nel compiere questo atto si interrompe
l’automatismo della respirazione e si sposta il controllo della stessa dal sistema nervoso autonomo a quello somatico.
La respirazione diaframmatica, o
addominale, può essere molto utile in tal senso. Utilizzare il diaframma, un
muscolo coinvolto in molte funzioni corporee, porta, infatti, diversi benefici
fisici e favorisce rilassamento, maggiore consapevolezza corporea, gestione
dello stress e benessere generale. Un esercizio semplice per acquisire questa
modalità di respirazione, alternativa a quella toracica, è di assumere una
posizione comoda, sdraiati o seduti, posizionare una mano sul petto e una mano
sulla pancia per controllarne i movimenti, inspirare lentamente dal naso
cercando di far andare tutta l’aria verso il basso espandendo l’addome, espirare
poi lentamente contraendo leggermente l’addome e facendo fluire l’aria dalla
bocca. Una particolare tecnica di respirazione diaframmatica[8],
la respirazione autogena (o tattica), prevede un ciclo ritmico di inspirazioni
ed espirazioni, da ripetersi per alcune volte. È particolarmente semplice ed
efficace nelle situazioni stressanti per rallentare il battito cardiaco,
ridurre il tremore delle mani, inducendo una progressiva tranquillizzazione
mentale e normalizzazione dei parametri fisiologici, ed aiutando a recuperare
un senso di calma ed auto controllo.
Grounding
(radicamento)
Nelle
arti marziali e nella difesa personale, avere un buon contatto con il suolo o
con il tatami, essere ben radicati a terra, oltre ad essere strettamente legato
alla postura e con essa alla base di ogni tecnica, è anche indice di buon
autocontrollo, padronanza di sè e conoscenza del proprio corpo. La rilevanza di
tale aspetto, non solo in ambito sportivo, è stata evidenziata dai lavori di
Lowen sulla bioenergetica[9], che hanno anticipato diversi
concetti sviluppati poi nell’ambito della Embodied cognition. Una tesi
fondamentale della bioenergetica è che il corpo e la mente funzionalmente sono
identici e si possono influenzare reciprocamente: quello che si pensa può
influenzare il modo in cui ci si sente e il contrario è ugualmente vero. Ciò
determina il fatto che, come abbiamo visto in precedenza, i cambiamenti della
personalità possono essere condizionati da cambiamenti delle funzioni corporee:
respirazione più profonda, maggiore motilità, postura ed espressione di sé più
piena, aperta e libera. Secondo Lowen, però, questa interazione è principalmente
limitata agli aspetti consci o superficiali della personalità e non tiene
sufficientemente conto del fatto che ad un livello più profondo, cioè al
livello dell'inconscio, sia pensare che sentire sono condizionati da fattori
energetici. Nella sua prospettiva attraverso gli esercizi di radicamento, si
può descrivere e rafforzare l’aderenza dal punto di vista energetico con la
realtà.
L’esercizio
di base per il “grounding” o contatto col suolo, descritto da Lowen, ha la
funzione di stabilire una connessione energetica fra piedi e terreno iniziando
a far percepire le vibrazioni nelle gambe. Bisogna stare in posizione eretta,
con le ginocchia leggermente piegate, i piedi distanziati con le punte rivolte
in dentro e flettendo il busto in avanti andare a toccare il pavimento con le
dita delle mani, continuando a respirare liberamente e a fondo, poi raddrizzare
le ginocchia lentamente e mantenere la posizione per circa un minuto.
Bioenergeticamente
parlando, l’essere ben radicati ha la stessa funzione che svolge la terra in un
circuito elettrico ad alta tensione. Fornisce una valvola di sicurezza per la
scarica dell’eccitazione in eccesso. Quanto più un individuo sente il contatto
con il suolo, tanto più può mantenere la propria posizione, tollerare un
livello maggiore di carica e affrontare più sensazioni ed emozioni.
Postura
e gestione spazio
La postura può
essere intesa come l'adattamento personalizzato di ogni individuo all'ambiente
fisico, psichico ed emozionale. A differenza di una posizione che è una
configurazione momentanea, quando si parla di postura ci si riferisce
all'atteggiamento strutturale e funzionale che il corpo assume in modo più
profondo e continuo. Nelle arti marziali e nella difesa personale non si guarda
primariamente alle singole posizioni, ma al complessivo assetto del corpo, sia
in forma statica che dinamica. La postura, infatti, è basilare per sostenere
una qualunque azione tecnica. La postura corretta con schiena dritta e in
estensione, testa alta, sguardo di fronte a sè, baricentro allineato, ginocchia
leggermente piegate, un buon piano d’appoggio e radicamento al suolo è
fondamentale per ottenere stabilità, mobilità ed equilibrio (statico e
dinamico). Cuddy spiega con alcuni esempi come lo stato d’animo e la postura si
influenzino e interagiscano vicendevolmente. Quando, ad esempio, si prova lo
stato emotivo della paura, i livelli di cortisolo si alzano e quelli di
testosterone si abbassano con una corrispettiva modificazione posturale che
vede le spalle curvarsi comunicando una certa chiusura in sé. Al contrario,
assumendo una posizione eretta con un’ampia apertura toracica si possono
registrare significativi cambiamenti ormonali che vanno in una direzione
opposta alla precedente. E ancora; “La postura non dà forma soltanto al nostro
modo di sentirci, ma anche a ciò che pensiamo di noi stessi, dalle nostre
autodefinizioni alla sicurezza e all’agio con cui le sosteniamo. E tali
concezioni di noi possono favorire oppure ostacolare la nostra capacità di
connetterci con gli altri, di svolgere il nostro lavoro e, più semplicemente,
di essere presenti”.
Come la gestione del corpo, della propria postura e, quindi, del proprio spazio personale ci influenza, lo stesso discorso vale anche per lo spazio interpersonale. Gli studi sulla prossemica di Edward T. Hall, insegnano che esistono diversi tipi di distanze/vicinanze interpersonali, che configurano differenti dimensioni spaziali a seconda dei diversi livelli di confidenza, dei contesti che si occupano, della cultura e dello stato emotivo delle singole persone: “Stare a una certa distanza da un nostro simile ha un significato (per noi e per gli altri, ndr), e il significato cambia con il mutare della distanza”[10]. Quindi non solo la gestione della postura e dello spazio personale, ma anche di quello interpersonale, con relativa adeguata modulazione delle distanze/vicinanze, permetterà di affrontare al meglio le diverse situazioni e manderà a livello inconscio dei messaggi non verbali agli altri e, al contempo, a noi stessi. In ultimo l’attenzione agli spazi personali ed interpersonali, va di pari passo con quella rivolta agli spazi in cui ci si muove e delle possibili variabili ambientali ed organizzative che possono modificarne le caratteristiche o anche solo il modo in cui sono percepiti e vissuti.
Autoprotezione
e cedevolezza
La difesa personale viene attuata
integrando strategie di autoprotezione, di controllo e di contrattacco di volta
in volta diverse. Le prime strategie, quelle di autoprotezione, prevedono
l'utilizzo di quelle gestualità tecniche che possono non solo minimizzare
notevolmente gli effetti lesivi di un’aggressione, ma anche, nella più
favorevole delle ipotesi, prevenirla. Le tecniche di autoprotezione, inoltre,
se da una parte concorrono a veicolare un messaggio di deterrenza, dall’altra sono
azioni assolutamente innocue ed indirizzate contro gli attacchi dell'aggressore
e non contro la sua persona.
Un principio fondamentale su cui
poggiano diverse tecniche e strategie di autoprotezione, desunto in particolare
dal Judo, è il concetto di cedevolezza[11].
Ciò che è flessibile non è necessariamente debole, esso è solo temporaneamente
più morbido rispetto a ciò che gli è opposto in quel momento, in quanto più
rigido. Nelle varie situazioni in cui si contrappongono flessibilità e
rigidità, la flessibilità può essere forte, ovvero essere una forza flessibile,
o meglio ancora una flessibilità resistente capace di adattarsi e combinarsi
con la forza dell’avversario.
Le gestualità tecniche principali,
che dovrebbero con la ripetizione trasformarsi in riflessi motori acquisiti preliminari
ad una successiva azione più riflessiva, sono le posizioni di sicurezza (o
guardia), i movimenti di spostamento, di arretramento, di schivata, di
deviazione, di cadute controllate, di svincolamento e di bloccaggio. Nella pratica
il concetto di cedevolezza, di circolarità ed alcuni di questi movimenti,
spostamenti e posizioni non sono né immediati, né naturali, ma richiedono
esercizio e ripetizioni per essere acquisiti, poiché devono sostituire alcuni
riflessi motori spontanei. Sperimentare come si comporta e come
reagisce il nostro corpo in rapporto a determinate sollecitazioni, può
contribuire ad avere uno sguardo più ampio anche sulle risposte che in maniera
reattiva e spontanea si è portati a mettere in campo su altri piani (emotivo,
comunicativo, …), aiutando ad avere una gestione più funzionale delle stesse.
Conclusioni
Qualche
tempo fa mi è capitato di incontrare una persona che aveva frequentato un mio breve
corso e che, dopo avermi salutato, ha voluto raccontarmi un’occasione in cui le
era stato utile quanto aveva appreso. Lavorava in un servizio a bassa soglia ed
una sera si era trovata in una difficile situazione personale in cui, mentre la
sua tensione saliva, il semplice spostamento delle gambe, recuperando una
posizione di sicurezza e maggior equilibrio, la aveva aiutata a riprendere il
controllo di sé e gestire al meglio la situazione stessa che, fortunatamente,
si era poi risolta in modo positivo.
Una
piccola testimonianza, magari non generalizzabile, ma sicuramente
significativa. Spesso la partecipazione corporea in ambito formativo ed
educativo è sottovalutata, quasi sminuisca i contenuti teorici, e o non è
presente o è trattata in forma separata. Raramente gli aspetti teorici e fisici
sono affrontati e visti come interdipendenti.
Gardner
attribuisce questa disgiunzione al fatto che nella cultura occidentale recente c'è
stata una frattura tra le attività del ragionamento da un lato e le attività del
nostro corpo dall'altro. Frattura che è andata via via associandosi alla
nozione che ciò che facciamo col nostro corpo sia un po' meno privilegiato,
meno speciale, di ciò che eseguiamo principalmente attraverso l'uso del
linguaggio.
Forse
occorrerebbe sanare questa frattura, ricollegando gli apprendimenti corporei
con quelli teorici, non solo perché il farlo sarebbe utile nel favorire gli
apprendimenti stessi, che migliorano e si consolidano, ma anche perché sarebbe un’operazione profondamente generativa e trasformativa. Si tratta di una prospettiva che in
ambito pedagogico si sta riscoprendo (recuperando alcuni contributi e
sollecitazioni delle pedagogie attive[12]),
in particolare in alcune correnti come quella della cosiddetta “Pedagogia del
corpo”, che si propone di rivisitare criticamente gli abituali scenari
dell’educazione, della formazione e della cura, “dove il corpo risulta spesso
assente o imbrigliato, semplicemente parlato, per integrare saperi ed
esperienze abitualmente separati. La formazione corporea all’educazione è
formazione a una presenza, una competenza a esserci”[13].
In
conclusione ritengo che nelle varie proposte formative in ambito sociale e
sanitario sulla gestione dell’aggressività, si dovrebbe essere maggiormente
consapevoli del fatto che attraverso una corretta introduzione alla difesa
personale si possono trasmettere le basi di un sapere corporeo che non solo si affianca
a quelli teorici, relazionali e comunicativi, ma che li integra ed implementa, favorendo
una migliore autoconsapevolezza, un accresciuto senso di autoefficacia[14], una maggiore attenzione agli spazi ed alle variabili ambientali, ed una più approfondita conoscenza di alcuni meccanismi fisici e psichici funzionali sia per gestire
relazioni e criticità, sia per orientare e consolidare il nostro essere
presenti.
Dott. Domenico Massano,
Pedagogista e Insegnante tecnico di difesa Personale MGA
(FIJLKAM-CONI)
[1] Ministero della Salute – ONSEPS, Relazione
attività, 2024. https://www.salute.gov.it/new/sites/default/files/imported/C_17_pubblicazioni_3539_allegato.pdf
[2] Gardner H., Formae mentis. Saggio
sulla pluralità dell'intelligenza, Feltrinelli, 2013.
[3] In prima persona (plurale). Presenti e
Sicuri. Di Bruscia Filippo, https://universitadellastrada.com/blog/in-prima-persona-plurale-presenti-e-sicuri
[4] AA. VV., The
Routledge Handbook of Embodied Cognition, Edited by Lawrence
Shapiro, Shannon Spaulding, Routledge 2024. Si veda anche: AA.VV., Foundations
of Embodied Cognition, Vol. 1-2, Edited by Yann Coello and Martin H.
Fischer, Routledge 2016. Per
un’introduzione: Embodied Cognition: una nuova psicologia, in Giornale
Italiano di Psicologia 1, Marzo 2013.
[5] AA. VV., MGA. Metodo globale di
autodifesa, Ed. Mediterranee, 2002.
[6] Cuddy A., Presence,
Little, Brown, & Co., 2015. Ed.
it. Il potere emotivo dei gesti, Sperling & Kupfer, 2019.
[7] Presenti
e sicuri. La gestione di situazioni di scontro e aggressività, di Farinetti
Ezio https://universitadellastrada.com/blog/presenti-e-sicuri-la-gestione-di-situazioni-di-scontro-e-aggressivit
[8] Hopper, Susan I., Murray, Sherrie L., Ferrara, Lucille R.,
Singleton, Joanne K., Effectiveness of diaphragmatic breathing for reducing
physiological and psychological stress in adults: a quantitative systematic
review. JBI Database of Systematic Reviews and Implementation Reports 17(9)
p. 1855-1876, September 2019.
[9] Lowen A., Bioenergetica,
Feltrinelli Editore, 2013.
[10] Hall E. T., La dimensione nascosta,
Bompiani 2001
[11] Kano J., Kodokan Judo, Edizioni
mediterranee, 2005.
[12] Dewey J., Il mio credo
pedagogico, La nuova Italia, 1976; Esperienza ed educazione,
Raffaella Cortina Editore, 2013.
[13] Gamelli I., Pedagogia del corpo,
Raffaello Cortina Editore, 2011
[14] Bandura A., Autoefficacia: teoria e applicazioni. Erickson, 2000

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