Sulla base di queste parole e con lo sguardo rivolto, in particolare, alle questioni che evidenziano, ho, dunque, effettuato la mia visita.
“Al momento della visita alla Casa di reclusione A. S. di Quarto d’Asti, erano presenti 237 detenuti, 32 in più rispetto alla capienza regolamentare che è di 205 posti (dato del Ministero della Giustizia). Per quanto riguarda la Polizia penitenziaria erano 138 gli effettivi (tra agenti, ispettori, …) a fronte dei 167 previsti, segnalando una carenza di organico che riguarda anche le aree amministrativa ed educativa (4 Educatrici a fronte delle 7 previste). La situazione di sovraffollamento, combinata alle carenze di personale, nonostante l’impegno dello stesso, rischia di determinare una situazione di “affanno” dell’intera struttura, ripercuotendosi su diversi ambiti, come sulla possibilità di sviluppare al meglio le attività trattamentali e di utilizzare i diversi spazi (aule, sale hobby, …).
Sul piano lavorativo, nonostante la necessità di percorsi occupazionali, sono pochissime le persone detenute che hanno un contratto con un datore di lavoro esterno, nonostante l’importante impegno delle cooperative e realtà attualmente operanti. Chi ha l’opportunità di lavorare, lo fa per lo più a turnazione e per lavori interni alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria. Incrementare questo aspetto richiederebbe una maggior partecipazione anche della comunità esterna e del mondo imprenditoriale, trattandosi di un punto cruciale sia per dare concretezza alla finalità rieducativa della pena costituzionalmente prevista, sia per dare un senso ed una prospettiva al tempo della reclusione favorendo una concreta possibilità di reinserimento ed abbattendo i tassi di recidiva (come peraltro segnalato dal CNEL con il progetto Recidiva Zero).
Da un punto di vista strutturale l’istituto pur mostrandosi, per quanto riguarda le aree visitate, con vari interventi di manutenzione e miglioramento effettuati, continua ad avere significativi problemi, tra cui infiltrazioni d’acqua in varie parti della struttura ed i locali docce nelle sezioni con ampia presenza di muffe. Servirebbero investimenti per manutenzione straordinaria e ristrutturazione, anche per poter ottimizzare l’utilizzo di tutti gli spazi dell’Istituto (come i locali sopra l’infermeria in disuso da tempo). Sarebbe poi necessario completare l'area esterna colloqui per famiglie, dove sono presenti anche attrezzature, spazi e giochi per l’accoglienza dei bambini, che al momento non è utilizzabile. Infine, si segnala l’assenza di uno spazio esterno riparato ed adeguato per accogliere in particolare i famigliari che vengono in visita per i colloqui e la mancanza di mezzi pubblici che colleghino la città al carcere.
Nel periodo estivo bisogna, inoltre, segnalare come contribuiscano a rendere la situazione particolarmente difficile sia le alte temperature che si raggiungono nelle sezioni, nonostante la presenza di ventilatori, sia l’interruzione di diverse attività trattamentali e la riduzione della presenza di volontari ed altre figure esterne”.
Terminata la visita ho avuto un'ulteriore conferma del fatto che attraversando gli Istituti penitenziari ed ascoltando le persone che a diverso titolo vi si incontrano, non ci si può non rendere conto di come ogni giorno si consumi una sofferenza silenziosa tra le mura delle nostre carceri: sofferenza fisica, psicologica, morale. Una sofferenza che, spesso, colpisce non solo le persone detenute ma anche il personale interno ed esterno, i collaboratori ed i volontari. La responsabilità di cambiare rotta è di tutti. Sicuramente “servono investimenti, necessari e lungimiranti” da parte del Governo, così come è fondamentale implementare le collaborazioni, spesso già attive, tra le istituzioni, le forze dell'ordine, il mondo dell'associazionismo e la società civile.
Ma, forse, questo non basta. Bisogna, infatti, ricordare che “Le pratiche, le abitudini e le diverse procedure che compongono la sfera penale sono sempre iscritte in un campo di significati che potremmo denominare cultura penale” e che, purtroppo, “l’assunto dominante della nostra epoca è che il carcere funziona, non in quanto strumento di rieducazione, ma come mezzo di neutralizzazione e punizione che soddisfa le istanze politiche popolari di sicurezza pubblica e di severità della condanna” [3],. È, quindi, imprescindibile promuovere e valorizzare una cultura diffusa della pena orientata dalla sua finalità rieducativa (art. 27 Cost.), che dovrebbe essere sostenuta da un impegno professionale, sociale e politico capaci di valorizzarla, per garantire una maggiore dignità sia del lavoro del personale all’interno delle carceri, sia della pena per le persone detenute, e per far sì che la reclusione non si traduca in un tempo svuotato, di privazione di diritti e speranza, ma perché il tempo “sottratto”[4] abbia sempre un significato e la pena conservi la sua tensione rieducativa costituzionalmente prevista.
Domenico Massano, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Città di Asti
Articolo pubblicato su Persone e Diritti e ripreso con piccole modifiche.
[1] Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’incontro con il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, unitamente ad una rappresentanza della Polizia penitenziaria, 30/06/2025 https://www.quirinale.it/elementi/134834
[2] Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’incontro con una rappresentanza del Corpo di Polizia Penitenziaria, 18/03/2024, Quirinale.it
[3] Garland D., Pena e società moderna, ed. Il saggiatore, 1999.
[4] Palma M., in Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Relazione al Parlamento 2022.
Di seguito alcuni articoli pubblicati in relazione alla visita: Mobilitazione della Conferenza nazionale dei garanti territoriali delle persone private della libertà, Mobilitazione della Conferenza Nazionale dei Garanti territoriali delle persone private della libertà a un mese dal discorso del presidente Sergio Mattarella.
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