Un laboratorio di Giustizia riparativa tra carcere e città.

Il presente articolo è stato pubblicato su Persone e Diritti.

La giustizia riparativa, secondo uno dei suoi principali teorici, Howard Zehr, può essere vista come “un modello di giustizia che coinvolge la vittima il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo”[1]. Certamente non è una prospettiva facile o lineare, perché, come ricorda Don Ciotti, la giustizia riparativa “non è solo un sistema giuridico, ma anche un prodotto culturale, capace di promuovere percorsi di riconciliazione senza dimenticare [che] il ricostruire le relazioni umane e il tessuto sociale non può andare a discapito dell’equità, della certezza e della funzione riabilitativa della pena”[2].

Sul piano internazionale alcuni anni dopo la pubblicazione dei principi base elaborati dalle Nazioni Unite nel 2002[3], il Parlamento europeo, con la Direttiva 2012/29/UE, imponeva agli Stati membri (entro il 2015), di creare le condizioni per il ricorso a servizi di giustizia riparativa. Successivamente il Consiglio d’Europa con Raccomandazione CM/Rec(2018)8, invitava gli Stati membri a “cooperare e assistersi reciprocamente nello sviluppo della giustizia riparativa”, riconoscendo, in particolare, che la stessa “può aumentare la consapevolezza dell’importante ruolo degli individui e delle comunità nella prevenzione e nella risposta alla criminalità e ai conflitti ad essa associati, incoraggiando così risposte più costruttive in materia di giustizia penale”.

Nel nostro ordinamento la giustizia riparativa ha acquistato una disciplina organica solo recentemente con il DL 150/2022 (attuativo della legge delega 134/2021, c.d. riforma Cartabia), che ne fissa principi e criteri direttivi (artt. 42-67). In particolare si identifica come giustizia riparativa: “ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore”. Le finalità sono quelle di: “promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità”.

Tutto ciò implica una dinamica intrinsecamente ed inevitabilmente relazionale, che metta al centro l’impegno a “riparare”, sia con il porre particolare attenzione al danno provocato/subito e ai bisogni della vittima, sia con il promuovere il percorso di assunzione di responsabilità da parte dell’autore di reato. Una dinamica che si fonda sull’interazione e sul riconoscimento reciproco, e che allarga lo sguardo intorno al reato, con il coinvolgimento della comunità.

Si tratta di una prospettiva e di obiettivi particolarmente significativi ed importanti, la cui realizzazione non è però semplice e scontata. Soprattutto perché ci deve essere chi si faccia carico di promuovere e portare avanti questa proposta, in particolare nei luoghi di detenzione e nei contesti comunitari, affinché possa prendere vita e camminare attraverso l’incontro tra persone.

Ad Asti, tra marzo e maggio scorsi, questo è successo. Le educatrici dell’area trattamentale della locale Casa di Reclusione Alta Sicurezza, raccogliendo la sollecitazione di una persona detenuta, hanno promosso all’interno del carcere un percorso di sensibilizzazione alla giustizia riparativa. Grazie al loro impegno nel portare avanti la proposta, accolta con favore dalla direzione dell’Istituto, è nato un percorso che, con il supporto dell’associazione di volontariato penitenziario Effatà e delle Acli, è stato condotto e portato avanti dai mediatori e dalle mediatrici del Centro di Giustizia Riparativa InConTra di Bergamo (Filippo Vanoncini, Giulio Russi) e del Centro di Giustizia Riparativa di Torino (Claudia Burlando, Monica Delmonte).

Nell’arco di tre mesi si sono svolti sette incontri (i primi tre di preparazione dei gruppi di detenuti e di cittadini separatamente, gli ultimi quattro congiunti, in carcere), che hanno visto una numerosa, e per nulla scontata, partecipazione di persone detenute nella Casa di Reclusione di Asti (circa una ventina) e di un gruppo di cittadini e cittadine volontarie. Un percorso in cui, come espresso da mediatori e mediatrici, “Detenuti e cittadini si sono messi in gioco, come persone, con curiosità, desiderio di sapere di più, ma anche il coraggio di incontrare l’altro, di ascoltarlo e di lasciarsi ascoltare. […] Negli incontri congiunti i detenuti e cittadini si sono sperimentati in esercizi di osservazione, ascolto e dialogo che hanno consentito di spostare l’attenzione dalla propria condizione, dalla propria sofferenza, a quella dell’altro, di approfondire la consapevolezza di ciascuno rispetto alle conseguenze del proprio agire, ma anche di accendere il desiderio di cambiamento, aumentare la fiducia in se stessi, di potercela fare, di aver il coraggio di chiedere fiducia (un detenuto), per costruire un futuro migliore insieme a una comunità sensibile e disponibile ad accogliere”.

È stato un primo percorso, sicuramente impegnativo, ma che ha visto una continuativa presenza dei partecipanti che ha permesso di maturare riflessioni attraverso cui si possono intravedere gli esiti e le ricadute del cammino fatto.

Particolarmente significative quelle delle persone detenute[4], di cui se ne ripropongono alcune a titolo esemplificativo:

– Oggi sono terminati gli incontri sulla sensibilizzazione alla giustizia riparativa. Non sapevo bene cosa aspettarmi, dato che sull’argomento sapevo solo ciò che avevo letto sui giornali. Un giorno mi “confrontai” con un mediatore, che impersonava una “vittima”. Dato che faccio teatro pensavo sarebbe stato come mettere in scena qualcosa. Mi sbagliavo! […] per giorni, pensai veramente all’altra parte, a chi aveva sofferto per causa mia. Il mio dolore passò in secondo piano. Adesso vedo le cose nella loro interezza e di questo ringrazio le persone che si occupano di questa realtà (C.D.F.).

– Nei giorni passati ho partecipato al corso di sensibilizzazione della giustizia riparativa e mi è piaciuto molto il fatto che davvero una persona detenuta si metta in discussione. Dove sentimenti, il sentito, il dialogo, la comprensione di noi stessi e degli altri ci può fare capire meglio la storia di tutti noi; vittime e carnefici per riuscire a capire la sofferenza, il dolore, la tristezza, il rammarico per il passato. Ma anche la speranza per il futuro ci aiuta a migliorare come persone (A.V.R.).

– Ho iniziato questo percorso per conoscere un’altra faccia della giustizia, la così detta “giustizia riparativa”. Un argomento in passato molte volte sentito, ma mai approfondito. Grazie agli incontri posso dire di conoscerne il vero significato, ispirato al percorso di legalità e coscienza. Pertanto questi incontri hanno aggiunto un mattoncino sul muro del percorso del nostro cambiamento (E.T.)

Anche alcune considerazioni finali del gruppo di cittadini e cittadine coinvolto, contribuiscono a restituire il valore di questo percorso:

– Credo che la giustizia riparativa sia uno strumento importante per tutte le figure coinvolte; la vittima ha modo di raccontare non solo l’evento accaduto ma anche le conseguenze che il reato ha provocato in lei, l’autore di reato invece ha l’occasione di ricreare con la comunità e con la vittima stessa un legame di fiducia interrottosi precedentemente … la reputo un mezzo indispensabile per una riabilitazione della persona detenuta          (Francesca).

– Speranza, gratitudine, riparazione, responsabilità, sono alcune delle parole emerse nel cerchio, fatto di persone tra dentro e fuori il carcere, con cui abbiamo concluso il percorso sulla Giustizia riparativa nella C. R. di Asti. Un percorso di incontri con l’altro, fatti di ascolto, di riconoscimento e di responsabilità. Incontri che possono contribuire a ricostruire legami con e attraverso la comunità. Incontri anche con alcune emozioni e parti di sé stessi che aiutano ad aprire spiragli di luce su un futuro possibile (Marinella, Domenico, Daniela).

Ma, soprattutto, un elemento di particolare importanza è stata la “Lettera ad un compagno di detenzione sulla giustizia riparativa”. Uno scritto collettivo realizzato nell’ultimo incontro del percorso che può ben essere chiamato ad esserne testimonianza e manifesto:

Caro compagno di viaggio, voglio raccontarti cosa è stato per me incontrare la giustizia riparativa. Per iniziare vorrei dirti prima di tutto cosa non è giustizia riparativa:

non è un posto dove si viene a confessare i propri reati;

non è un posto dove si viene a fare gli infami;

ma è un luogo d’incontro anche con persone che non sono detenute, che possono aver ricevuto del male e non sono professionisti della giustizia.

È un luogo in cui ci si incontra come persone e si dialoga alla pari; ma ti devo dire che è anche un luogo faticoso, che richiede coraggio, perchè mette in gioco te stesso, senza maschera, dove sei chiamato a metterci la faccia. È un luogo che richiede tempo e costanza, per poter costruire relazioni autentiche, nella fiducia. Fare un percorso di giustizia riparativa è come versare l’acqua della consapevolezza in quel seme sepolto in carcere, che siamo noi.

Ci vuole un pò di fortuna perchè come sa un buon contadino, il tempo atmosferico non è nelle nostre mani, ma il germoglio fiorisce dal terreno alla fine. Allora scopri che puoi guardare ed essere guardato con occhi diversi. La giustizia riparativa è mettersi nei panni, nelle storie di tutte le persone che incontri; come a teatro, ma qui siamo tutti attori e nessuno è solo spettatore. Ti aspetto e spero che dopo aver partecipato ad un gruppo come questo, sarai tu a scrivere una lettera simile.  

Tutti i commenti, le riflessioni, i vari scritti, accompagnati da una narrazione descrittiva del percorso sono stati raccolti e pubblicati sia sul giornale interno al carcere, Gazzetta Dentro[5], per arrivare a chi non ha partecipato, sia sul periodico locale, Gazzetta d’Asti, per raggiungere anche il territorio e promuovere sensibilizzazione ed informazione sulla giustizia riparativa e su questa significativa iniziativa. Si è trattato, infatti, di un percorso il cui esito ha, forse, superato quelle che erano le aspettative e che, sicuramente, si inscrive in quella necessaria tensione rieducativa della pena costituzionalmente prevista (art. 27), che deve sollecitare forme di “responsabilità verso gli altri”, e che richiede il coinvolgimento della società “che non può chiamarsi fuori dalla genesi del reato”[6].

Oltre ai diversi contenuti, inoltre, è emersa spontaneamente una speranza che può tradursi in proposta, ossia di allargare il percorso, di coinvolgere altre persone e realtà (all’interno ed all’esterno), affinchè Asti possa diventare una città (ed una comunità) riparativa. Un’idea che sicuramente non si lascerà cadere, ma su cui si cercherà di lavorare insieme, tra dentro e fuori il carcere. Una proposta operativa che può incidere su un elemento focale, ossia la dimensione culturale, con ricadute anche al di là dello specifico ambito di intervento e sfera di competenza. Bisogna ricordare, infatti, che “le pratiche, le abitudini e le diverse procedure che compongono la sfera penale sono sempre iscritte in un campo di significati che potremmo denominare cultura penale”[7]. In tale prospettiva la recente introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa nel nostro ordinamento, che dovrebbe favorire e promuovere il ricorso alla stessa, potrebbe avere diverse ricadute positive. In particolare mettendo in discussione l’unicità del “secco paradigma che collega il male commesso alla quantità di pena” e aprendo a “una visione progettuale dell’esecuzione penale”[8], si potrebbe contribuire a promuovere un cambiamento delle “coordinate con le quali concepiamo il crimine e il criminale: da fatto solitario a fatto sociale; da individuo rigettato dalla società a individuo che ne fa pur sempre parte”[9].

Nel concludere quella che è semplicemente la presentazione di un’esperienza, con tutti i limiti del caso, che ho avuto la possibilità di vivere come cittadino e volontario carcerario[10], penso valga la pena richiamare nuovamente le parole di Zehr: “la giustizia riparativa fornisce anche un modo concreto di pensare alla giustizia all’interno della teoria e della pratica della trasformazione dei conflitti e della costruzione della pace”[11]. In una società ed in un mondo in cui si sta assistendo al dilagare della violenza come principale sistema di controllo, di regolazione dei rapporti (sociali, economici, …) e di risoluzione di conflitti e controversie, forse la giustizia riparativa può essere una preziosa occasione, in un ambito particolarmente rilevante, di coltivare e recuperare il senso ed il valore di parole e pratiche di pace e nonviolenza.

Anche in tal senso sarà importante cercare di dar seguito e visibilità a questo percorso (così come ai tanti analoghi su altri territori), nella speranza di tener viva ed alimentare quella ineludibile “dialettica tra noi e gli altri [e tra dentro e fuori], in cui si gioca la complessa dinamica che lega identità e convivenza”[12].

Domenico Massano, pedagogista e volontario carcerario


[1] Una ‘conversazione sulla giustizia’: intervista a Howard Zehr, in Studi Cattolici, 569-570/2008.

[2] Ciotti L., prefazione a La giustizia capovolta, di Occhetta F., ed. Paoline, 2016

[3] United Nations, Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters, ECOSOC Res. 12/2002.

[4] Sulla questione della firma solo con sigla per le persone detenute si veda la recente Lettera aperta del Coordinamento dei giornali e delle altre realtà dell’informazione e della comunicazione sulle pene e sul carcere, Ristretti Orizzonti, 10 aprile 2025

[5] Massano D., Fare un giornale tra dentro e fuori il carcere.Se consentire l’espressione culturale rende più degna la detenzione, in Animazione Sociale 357/2022.

[6] Acconcia A., La giustizia riparativa nel caleidoscopio dell’esecuzione penale, in Antigone, XX Rapporto sulle condizioni di detenzione, 2024

[7] Garland D., Pena e società moderna, ed. Il saggiatore, 1999

[8] Palma M., Garante nazionale delle persone private della libertà, Relazione al Parlamento 2023.

[9] Zagrebelsky M., Che cosa si può fare per abolire il carcere, La Repubblica, 23 gennaio 2015

[10] Massano D., Carcere, volontariato e finalità rieducativa della pena, in Persone e Diritti, https://personeediritti.altervista.org/

[11] Zehr H., The little book of restorative justice, Good Books, 2015

[12]Palma M., Garante nazionale delle persone private della libertà, Relazione al Parlamento 2020.

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