In
questo particolare momento storico stiamo, nuovamente, assistendo al
diffondersi di un linguaggio violento e di espressioni di odio (nei confronti
dei migranti, delle donne, delle persone con disabilità, delle persone lgbtqi,
…), che rischiano di alimentare ed essere presupposto di discriminazioni,
violazioni dei diritti e vere e proprie aggressioni.
Questi
discori d’odio o “Hate Speech” sono stati oggetto nel 2015 della Raccomandazione
n. 15 dell'Ecri (Commissione Europea contro razzismo e intolleranza): “Si
intende per discorso dell’odio il fatto di fomentare, promuovere o
incoraggiare, sotto qualsiasi forma, la denigrazione, l’odio o la diffamazione
nei confronti di una persona o di un gruppo, …”.
Tra
le tante fonti autorevoli che si occupano del tema, Amnesty International, in
particolare, è recentemente intervenuta con due pubblicazioni (un “Manuale di formazione” e, riferito ai politici, un “Barometro dell’odio 2018-2019”), finalizzate
a contrastare questa preoccupante tendenza sempre più diffusa sui social
(ognuno può averne un facile riscontro guardando i commenti ad alcune notizie
e/o argomenti di attualità particolarmente "caldi"), ma non solo, visto che insulti e minacce (“devi
morire, devi bruciare, ti stupro, …”), ultimamente sono anche urlati
pubblicamente, nell’apparente immobilismo istituzionale.
Nel
manuale di Amnesty si può leggere: “L'hate speech contribuisce a una narrazione
che relega all'inferiorità i membri di alcune categorie sociali. In questo modo
i discorsi d'odio creano e alimentano condizioni che indeboliscono il valore
dei diritti e delle libertà delle persone stigmatizzate, la loro possibilità di
vivere senza ostacoli e di difendere i loro interessi civili. L'hate speech
attacca i diritti che garantiscono una eguale partecipazione alla vita civile e
un dibattito pubblico aperto dove gli interessi di tutti sono presi in
considerazione e ciascuno ha una voce che sarà ascoltata”.
Sono
evidenti, quindi, le potenziali ricadute negative che i discorsi d'odio possono
avere sulla qualità della vita sociale. Amnesty indaga anche le responsabilità
della politica nella diffusione e nella legittimazione di tali discorsi da
parte dei tanti “odiatori” da tastiera (e non solo): “È vero che i politici,
anche i più “istigatori”, di solito non ricorrono agli insulti e all’hate
speech propriamente detto, ma il messaggio è lo stesso. L’elemento aggressivo
di alcuni messaggi, pur se “confezionato” senza includere insulti veri e
propri, tradisce inequivocabilmente sentimenti di disprezzo o di ostilità”.
In
tal senso preoccupano molto le dichiarazioni (e le loro potenziali ricadute) dell’Assessore alla cultura del comune di Asti che, riferendosi al Pride che si terrà sabato
06 luglio (e che, come denunciato dagli organizzatori, è oggetto di frequenti messaggi d'odio e di insulti), ha affermato: “Un corteo violento e indecente”, “è una
manifestazione violenta che incita alla violenza”.
Parole pesanti, sia per
quello che appare come un uso quantomeno improprio e strumentale del termine
“violenza”, sia (e soprattutto) perché sembrano trasudare di quel disprezzo e
di quell’ostilità che, come evidenziato nel rapporto di Amnesty, rischiano di
contribuire alla formazione di un terreno fertile non solo per il moltiplicarsi
di messaggi d’odio on line, ma anche per discriminazioni, aggressioni,
violazioni dei diritti umani.
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