Biani e "La banalità del ma": "Come siete diventati così miserabili?"


Il 7 febbraio è uscito nelle librerie La banalità del ma, di Mauro Biani, uno spaccato della nostra società narrato attraverso le sue vignette degli ultimi tre anni che, nel titolo, sembra voler rievocare La banalità del male, il saggio di Hannah Arendt sul processo per genocidio al gerarca nazista Eichmann. E’ lo stesso autore a spiegare tale richiamo: “non è stato un gioco di parole riuscito. E’ stata una riflessione condivisa sull’indifferenza. Sulla banalità criminale dell’indifferenza. Pensiero contrastato anche ieri. Sembra ieri, oggi”. Il libro si apre con una domanda dietro cui si palesa una severa, ma inevitabile, constatazione: “Come siamo diventati così miserabili? Come ha fatto un popolo di migranti, di persone costrette a fuggire a milioni dalla fame, dalla povertà, dalla guerra, o semplicemente di persone alla ricerca di migliori opportunità, a diventare così cinico e insensibile, quando non apertamente ostile e rancoroso, nei confronti di chi sta subendo oggi un destino persino peggiore di quello dei nostri antenati?”.
Seguendo il succedersi delle vignette non solo ci si rende conto dell’urgenza e della fondatezza dell'interrogativo iniziale, ma ci si accorge anche che il diffondersi dell’indifferenza, del cinismo e dell’odio nei confronti dell’altro non sono frutto di un cambiamento repentino nella società, bensì di un “lento e progressivo scivolamento verso la parte peggiore di noi, verso quel momento terribile della nostra storia nazionale ed europea con cui non abbiamo fatto i conti a sufficienza”. Pur evidenziando la recrudescenza razzista, discriminatoria e inumana delle scelte e linee politiche dell’attuale governo, infatti, se ne stigmatizza la continuità con quelle dei precedenti esecutivi che, di fatto, hanno “preparato il terreno al governo più a destra della storia repubblicana su tutti i fronti. Dal linguaggio che strizza l’occhio alla xenofobia alla lotta senza quartiere alle Ong, dai rapporti strettissimi con milizie e dittature nordafricane alle leggi speciali contro i migranti e i poveri di ogni provenienza”.
Considerazioni che richiamano le parole del Sindaco, condannato all’esilio, Domenico Lucano che, di fronte all’accanimento distruttivo nei suoi confronti e contro il positivo e pluriennale cammino d’integrazione che aveva rivitalizzato il suo paese, ricordava come i problemi per Riace e per l’Italia, erano nati con il governo precedente “che non ha fatto altro che aprire la strada a quest’onda del fascismo, che sull'immigrazione costruisce il proprio consenso elettorale e apre la strada a questa società della barbarie”. D’altro canto tale continuità era stata preannunciata dall’attuale Ministro dell’Interno che, riferendosi alle politiche del suo predecessore subito dopo il suo insediamento, parlava di “un discreto lavoro” che si impegnava a proseguire “per rendere ancora più efficaci le politiche di controllo, di allontanamento, di espulsione”.
Questa recrudescenza “politica” va di pari passo con lo sdoganamento di un linguaggio aggressivo e violento, alimentato da una retorica dell’informazione autoassolutoria e quasi compiacente che, “normalizzando” l’indifferenza nei confronti dell’altro (migrante, povero, …), accompagna il progressivo scivolamento delle coscienze verso il baratro: “Gli allarmi per il razzismo dilagante, provenienti da molte voci e da diversi settori della società, cadono per lo più nel vuoto, minimizzati, ridicolizzati, ignorati”.
Tale deriva umana e culturale, spesso mascherata e giustificata con la scusa di un presunto “buon senso” (“il più classico dei paraventi dietro cui si nasconde la banalità del ma”), emerge chiaramente nel modo in cui è stato affrontato, nel novembre 2018, il rapimento in Kenya della giovane cooperante Silvia Romano, di fronte al quale i social hanno registrato un’impennata di commenti irrisori e sprezzanti: “Ogni afflato umano è, infatti, tacciato di “buonismo”, ogni attività rivolta a un prossimo non immediatamente identificabile come “uno di noi” è considerata sprecata, quando non dannosa”.
Un editoriale del Corriere della Sera intitolato “Cappuccetto Rosso”, a firma di Massimo Gramellini, ne parla, infatti, in questi termini: “Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto. […] non riesco a comprendere che tanta gente possa essersi così indurita da avere dimenticato i propri vent’anni. L’energia pura, ingenua e un po’ folle che a quell’età ti spinge ad abbracciare il mondo intero, a volerlo conoscere e, soprattutto, a illuderti ancora di poterlo cambiare. […] La sua unica colpa è di essere entusiasta e sognatrice. A suo modo, voleva aiutarli a casa loro”. 
Biani non rimane indifferente alle misere considerazioni del giornalista, stigmatizzandone il contenuto con una vignetta in cui a una voce fuori campo che chiede: “Cappuccetto rosso, perché non sei rimasta a casa tua?”, la giovane, avvolta in un mantello rosso, risponde: “Per non perdermi nel tuo luogo comune”.
Confrontando lo scritto in questione (cui ha fatto seguito un maldestro tentativo di giustificazione), con quello quasi contemporaneo di Vittorio Feltri su Libero, non è difficile rendersi conto della pervasività e trasversalità di questo livellamento verso il basso delle coscienze: “Gli italiani in blocco sono dispiaciuti che una brava ragazza di 23 anni, desiderosa di rendersi utile agli indigeni, aiutandoli a superare i disagi della miseria e dell'ignoranza, anziché essere premiata debba subire il torto di un sequestro. […] Non è la prima volta che alcune fanciulle, animate dal desiderio di soccorrere le popolazioni dei luoghi più sfigati, si lasciano alle spalle la propria nazione […] Per farcele restituire dai criminali siamo stati costretti a sborsare montagne di quattrini. […] Il che dimostra: è da cretini andare in giro per il mondo a imitare il Samaritano caricandone poi le spese sulla collettività. […] Anche perché l'Italia è piena di indigenti meritevoli di non essere snobbati. Chi vuole fare beneficenza è ricco di materia su cui esercitarsi, e non corre l'obbligo di trasferirsi in Africa per dimostrare la propria vicinanza al prossimo”. 
A distanza di oltre 100 giorni dal suo rapimento, non si sa ancora nulla di Silvia e il silenzio sta calando attorno a lei.
“Come siete diventati così miserabili?” chiede la bambina. 
“Eravamo già miserabili, ci vergognavamo pensa che scemi” risponde l’adulto.
Anni addietro, nel commemorare l’anniversario della Liberazione, Norberto Bobbio usò questa espressione: “Eravamo ridiventati uomini”. Un’affermazione carica di speranza che ricorda come l’attuale deriva non sia irreversibile. Per contrastarla, però, è necessario trovare nella necessaria vergogna per quanto sta succedendo, la determinazione a resistere e lottare per testimoniare e preservare la nostra comune umanità, magari riprendendo il cammino dalle parole che proprio nei giorni della Liberazione Piero Calamandrei, maestro di Bobbio e membro dell’Assemblea Costituente, scriveva nel primo editoriale del periodico Il Ponte: “Noi siamo convinti che, per risalire da questo imbestialimento, si debba cominciare a ricostruire in tutti i campi la fede nell’uomo, questo senso operoso di fraterna solidarietà umana per cui ciascuno sente rispecchiata nella sua libertà e nella sua dignità la libertà e la dignità di tutti gli altri, e in mancanza della quale la vita diventa una lotta di brutali sfruttamenti, alla quale si può dare via via il nome di tirannia, di plutocrazia, di nazionalismo, di fascismo, di razzismo. […] Il fascismo e il nazismo, con tutti i loro orrori, sono stati la espressione mostruosa di questo spengersi nelle coscienze della fede nell’uomo: di questo diffondersi di una concezione inumana dell’uomo e della società. […] Nessuna vittoria militare per quanto schiacciante, nessuna epurazione per quanto inesorabile potrà essere sufficiente se prima non si rifaranno nelle coscienze le premesse morali, la cui mancanza ha consentito a tante persone, che vivono ancora in mezzo a noi, di associarsi senza ribellione a questi orrori, di adattarsi senza protesta a questa belluina concezione del mondo.”



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