Solo se accompagnate ... La supercoppa italiana e i diritti violati delle donne.


Mercoledì 16 gennaio alle 18,30 si è giocata la supercoppa italiana di calcio tra Juventus e Milan a Gedda (Jeddah) in Arabia Saudita. I biglietti per il pubblico erano di due tipi: per soli uomini e per “famiglie” (il restante 15% al fine di permettere l’accesso al campo anche a donne e bambine, sempreché accompagnate da un uomo a ricomporre il "nucleo famigliare"). Quelli per soli uomini (85% del totale) occupavano quasi tutti i posti ai bordi del campo di gioco (salvo uno spicchio per biglietti di lusso famigliari probabilmente destinati a evitare incidenti diplomatici con le famiglie di giocatori, dirigenti e di qualche ricco tifoso). Quelli "famigliari", o per le "donne accompagnate", rappresentavano il restante 15% dei posti, ai bordi esterni degli spalti.
Si è trattato di un’inaccettabile svendita e violazione dei diritti (delle donne e di chiunque voglia ancora definirsi civile), accompagnata da un penoso silenzio mediatico, interrotto solo da alcuni miseri tentativi di dipingere la vergognosa vicenda quasi come un passo in avanti nella conquista dei diritti delle donne in Arabia (cui sarebbe stato “concesso” di entrare accompagnate allo stadio).
Purtroppo questa partita pare essere lo specchio di un paese (l'Italia) in cui progressivamente si sta perdendo la capacità di riconoscere, indignarsi e opporsi a violenze e violazioni dei diritti e della dignità umana.
Un anno fa, Anna Muzychuk campionessa mondiale di scacchi di 27 anni perse i suoi due titoli mondiali rifiutandosi di gareggiare in Arabia Saudita: "Per non giocare secondo le regole altrui, non indossare un velo, non essere scortata in giro e non sentirmi una sottospecie umana".
Un esempio per tutti, una donna che toglie ogni alibi a questa ingiustificabile edizione della supercoppa italiana e a tutti noi, dimostrando che di fronte a certe ingiustizie si può e si deve fare diversamente. Tuttavia per farlo bisogna volerlo e, come ricordava il filosofo Jankelevitch, “per volere non è necessario essere atleti, bisogna solo volerlo. Ma bisogna volerlo.”
Parole semplici ma che sembrano lontane dal sentire comune di un paese (l’Italia) che pare sempre più arido, rassegnato e ripiegato su se stesso.

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