Il
razzismo fascista, dopo essersi insinuato progressivamente nella società
italiana, esplose in tutta la sua virulenza nel 1938. In quell’anno “nonostante
l'ideologia del razzismo italiano fosse ancora in costruzione, il regime già la
esibiva da una vetrina sfavillante: quella di un nuovo quindicinale, La difesa della Razza”[1]. Il periodico fu
pubblicato per la prima volta il 5 agosto 1938, poche settimane dopo la
diffusione a mezzo stampa del documento sottoscritto da 10 “scienziati”
fascisti intitolato “Il fascismo e i problemi della razza”, più comunemente noto
come il “Manifesto della razza”. La stretta continuità tra “Il Manifesto” e “La
difesa della razza” era rilevabile già dall’editoriale al primo numero, scritto
dal direttore Telesio Interlandi, in cui si affermava: “Questa rivista nasce al
momento giusto. La prima fase della polemica razzista è chiusa, la scienza si è
pronunciata, il Regime ha proclamato l’urgenza del problema”[2]. L’antropologo fascista Lido
Cipriani, firmatario del Manifesto e redattore della rivista, in quei giorni ne
spiegava nei seguenti termini la funzione al ministro della cultura popolare
Dino Alfieri: “per agire sulle masse italiane in senso razzista occorrerà
ricorrere a mezzi molto elementari, che parlino anche agli intelletti più
semplici, colpendone la fantasia e possibilmente il cuore"[3].
Colpire,
però, non bastava, bisognava, al contempo, anestetizzare la sensibilità
individuale, eliminando ciò che facendo emozionare e sognare, poteva aprire spiragli su un mondo diverso, da costruire
insieme. Non stupisce, quindi, la condanna di tutte le espressioni artistiche
non riducibili all’interno del disegno totalitario razzista che il periodico,
in un articolo a firma G. Pensabene, così inquadrava: “Uno degli aspetti più
caratteristici del disordine artistico al quale assistiamo è senza dubbio
questo … non solo l'arte staccata dalla nazione, non solo staccata dalla
società: ma ormai apertamente contro di entrambe mirando a colpirle nella
famiglia che ne è Ia base”[4].
Per mostrare, poi, ai
lettori un esempio di quest’arte immorale che attaccava la società e la
nazione, colpendone la base costitutiva, ossia la famiglia, fu scelto, tra gli
altri, il quadro “Il compleanno” di Marc Chagall, accompagnato dalla seguente
didascalia: “L’amore concepito da un ebreo educato in Francia alla pittura”.

Per
provare a comprendere a qual punto la distorsione della realtà e l’asservimento
dello spirito di molte persone possa arrivare, può essere utile ripercorrere la
poetica descrizione del dipinto che attraversa alcune pagine dell’autobiografia
della moglie di Chagall, Bella, cui il quadro è dedicato: “Busso sulla tua imposta
che spesso lasciavi appena socchiusa … Vieni tu ad aprire. … "Indovina,
che giorno è oggi? … Oggi è il tuo compleanno!”. Sei rimasto a bocca aperta. … Ti giri,
frughi fra le tue tele. Ne tiri fuori una, sistemi il cavalletto. “Non
muoverti, resta dove sei …”.
Ho
ancora i fiori in mano. Non riesco a stare ferma. Vorrei metterli nell’acqua.
Appassiranno. Ma subito li dimentico. Ti sei gettato sulla tela che vibra sotto
la tua mano. Intingi i pennelli. Il rosso, il blu, il bianco, il nero
schizzano. Mi trascini nei fiotti di colore. Di colpo mi stacchi da terra,
mentre tu prendi lo slancio con un piede, come se ti sentissi troppo stretto in
questa piccola stanza. Ti innalzi, ti stiri, al soffitto svolazzi. La tua testa
si rovescia all’indietro e fai girare la mia … Mi sfiori l’orecchio e mormori …
Ascolto la melodia della tua voce dolce e grave. Persino nei tuoi occhi si
sente questo canto, e tutti e due all’unisono, lentamente, ci libriamo al di
sopra della stanza abbellita e voliamo via”[5].
Una
rappresentazione tra le più poetiche del sentimento che unisce due persone, un’opera
che parla di amore, di vita, di futuro è trasformato nello spauracchio di un
rapporto che mina, perverte e colpisce la società.
Allora come oggi, il
razzismo, l’indifferenza e il cinismo verso la sorte dell’altro, chiunque egli
sia, sono, spesso, alimentati da una narrazione miseramente e strumentalmente
manipolatoria e, inevitabilmente, determinano un impoverimento della nostra dimensione umana e sociale. Occorre contrastare questa pericolosa
deriva ripartendo dalla capacità di sperare, di immaginare e di riscoprire un
sentire e un’umanità comuni, in cui ritrovarci e da cui cominciare a costruire
insieme una società più libera, sicura e giusta per tutti.
Il tema è stato ripreso e approfondito nel libro "Voleremo via. Con Marc Chagall tra bellezza, amore, odio e indifferenza".
[1] S.
Luzzatto, M. A. Matard-Bonucci, La
vetrina della razza, in Dizionario del Fascismo, Einaudi, Torino 2003.
[2] La difesa della Razza, anno 1, n° 1, 05/08/1938
[3] S.
Luzzatto, M. A. Matard-Bonucci, La
vetrina della razza, cit.
[4] La difesa della Razza, anno 2, n°4,
20/12/1938
[5] Chagall
B., Come fiamma che brucia. Io, la mia
vita e Marc Chagall, Donzelli Editore, Roma, 2012.
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