Franca e Franco Basaglia |
Il
13 maggio 1978, quaranta anni fa, era promulgata la legge n. 180 "Accertamenti
e trattamenti sanitari volontari e obbligatori", comunemente chiamata
“Legge Basaglia”, una vera e propria rivoluzione nell’ambito dei servizi di
salute mentale che portò, in particolare, alla chiusura dei manicomi. In
occasione dell’importante anniversario, potrebbe essere utile ripercorrere
alcuni scritti di colui che ne fu l’artefice, oltre che l’ispiratore, per
provare a riscoprire come il riconoscimento dei diritti e del valore della vita di ogni uomo, furono i presupposti irrinunciabili da cui Basaglia iniziò questo
grande percorso di liberazione e di dignità che ha avuto, e ha tuttora, così
grande rilevanza per tutta la società.
In
un testo del 1975, Crimini di pace,
Franco Basaglia e sua moglie Franca Ongaro sviluppavano un’importante
riflessione articolata attorno al concetto di “valore dell’uomo”: “Ciò che deve
mutare per poter trasformare praticamente le istituzioni e i servizi
psichiatrici (come del resto tutte le istituzioni sociali) è il rapporto fra
cittadino e società, nel quale si inserisce il rapporto fra salute e malattia.
Cioè riconoscere come primo atto che la strategia, la finalità prima di ogni
azione è l’uomo (non l’uomo astratto, ma tutti gli uomini), i suoi bisogni, la
sua vita, all’interno di una collettività che si trasforma per raggiungere la
soddisfazione di questi bisogni e la realizzazione di questa vita per tutti.
Ciò significa capire che il valore dell’uomo, sano o malato, va oltre il valore
della salute o della malattia […] Quando il valore è l’uomo, la salute non può
rappresentare la norma se la condizione umana è di essere costantemente fra
salute e malattia”.
Alcuni
anni dopo, contestualmente alla promulgazione della legge n. 180/78, i coniugi
Basaglia approfondivano tali riflessioni in due saggi particolarmente
significativi. Il primo, dal titolo “Condotte perturbate”, fu realizzato per il
volume Psychologie della Encyclopédie de la Pléiade. Il testo si
concludeva con un paragrafo intitolato “Il valore dell’uomo”, in cui i due
autori dopo aver riproposto con parole quasi identiche lo scritto del 1975, ne
articolavano ulteriormente il significato, specificando che il fatto di assumere
la condizione di salute/malattia non come valore assoluto, bensì relativo, ha
come conseguenza una sorta di ribaltamento di quelle analisi sociali che
scaricano sui singoli il dovere di adattarsi a un concetto di normalità
predefinito e, spesso, informato esclusivamente a logiche di tipo economico e
competitivo: “Se il valore è l’uomo e i suoi bisogni, all’interno di una
collettività dove la produzione serve alla sopravvivenza di tutti, il malato,
il menomato, l’handicappato, il deviante, il disturbato psichico, l’inefficiente
non sono gli elementi negativi di un ingranaggio che deve comunque procedere a
senso unico, ma fanno parte dei soggetti per soddisfare i bisogni dei quali la
produzione esiste e si sviluppa”. In questa prospettiva sollecitavano, inoltre,
il “personale” dei diversi servizi all’assunzione di una responsabilità
“politica” oltre che socio-sanitaria, chiamandolo a sviluppare una sensibilità e
uno sguardo capaci di travalicare confini istituzionali e tecnico-scientifici, e
di rivolgersi all’intera società per interrogarla su quale sia la sua reale
capacità di rispondere ai bisogni delle persone: “Il compito dei tecnici che
operano in questo settore deve, dunque, consistere nel continuare a evidenziare
nell’esercizio della loro professione, questi bisogni mai soddisfatti, anziché
creare nuove classificazioni e nuove ideologie che aiutino a celarli”.
Il
secondo saggio, a cura di Franca Ongaro Basaglia per il lemma “Cura/Normalizzazione”
dell’Enciclopedia Einaudi (opera sotto molti aspetti ancor oggi insuperata), non
solo riproponeva negli stessi termini le riflessioni precedenti, ma
approfondiva ulteriormente la dimensione comunitaria del lavoro di cura: “Solo
in questa dimensione sociale la cura può assumere il suo significato
etimologico di sollecitudine, partecipazione, interesse, in vista di una
guarigione che sarà guarigione del singolo, ma anche partecipazione e
allargamento delle potenzialità individuali e collettive. […] In questo caso la
delega al tecnico non sarebbe più totale e totalizzante. Esistono delle
competenze specifiche: l’uno sa fare cose che l’alto non sa fare, ma questa
conoscenza non si tradurrebbe in uno strumento di potere: si tratta solo di uno
strumento che si mette al servizio della sofferenza dell’uomo, che comprende
anche la propria. La cura, la partecipazione a questa sofferenza possono allora
diventare la terapia che non è ancora esistita, al servizio dell’uomo che
ancora non siamo.”
Il
senso e la prospettiva di un lavoro di cura capace di “mettere fra parentesi”
la malattia, per tentare “di vivere la comunicazione” con l’altro (creando, al
contempo, le condizioni perché questo possa avvenire), abbracciano l’intera
società e suggeriscono come l’affermazione del profondo “valore di ogni persona”,
dovrebbe essere riferimento costante di ogni intervento e servizio, oltre che
presupposto per la realizzazione di quell’”utopia della realtà” che Basaglia
intendeva come “una ricerca costante sul piano dei bisogni, delle risposte più
adeguate alla costruzione di una vita possibile per tutti gli uomini”.
La legge
n. 180 è stata una tappa fondamentale di quella lunga marcia attraverso le
istituzioni che Basaglia intraprese per trasformare la realtà, per cambiare il
mondo. Tale cammino, tuttavia, non si è certo esaurito. Sembra, anzi, fondamentale
recuperarne i presupposti per poterlo proseguire con slancio e speranza, in una
società in cui le contraddizioni portate dalla malattia, dalla disabilità,
dalla povertà, dalle migrazioni, sono sempre meno assunte e affrontate in
un’ottica comunitaria e in cui le ingiustizie sociali sono, troppo spesso,
trasformate in colpe da addossare alle persone più fragili, ricusando, così, una
responsabilità “rivoluzionaria” nella sua ovvia semplicità, come lo stesso Basaglia ricordava: “Basta comunque
rileggere la legge sull’assistenza psichiatrica per convincersi che ciò che
passa, agli occhi di molti, come un’avventura rischiosa e piena di minacce, è
soltanto l’inserimento nella normativa sanitaria di un elemento civile e
costituzionale che sarebbe dovuto esservi implicito e non lo era: il
riconoscimento dei diritti dell’uomo, sano e malato”.
Riferimenti
bibliografici:
Basaglia
F., Basaglia F. O., Crimini di pace,
Einaudi, Torino, 1975.
Basaglia
F., Basaglia F. O., Pirella A., Taverna S., La
nave che affonda, Savelli, Roma, 1978.
Basaglia
F. O., Cura/Normalizzazione, Enciclopedia
Einaudi, vol IV, Einaudi, Torino, 1978.
AA.
VV., Il giardino dei gelsi, Einaudi, Torino, 1979.
Basaglia F., L'utopia della realtà, Einaudi, Torino, 2005.
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