“Servono
più ingegneri e meno latinisti. Serve una scuola che avvicina al lavoro”, con
queste parole, la leader radicale e liberista Bonino, pochi giorni prima della sua elezione a Senatrice nella coalizione di “centrosinistra” il 4 marzo,
chiariva il suo pensiero sulle scelte scolastiche dei giovani e sulla loro
necessaria subalternità a quelle che sono le esigenze di mercato. Paradossalmente
tali dichiarazioni non solo arrivavano proprio nel momento in cui la profonda
crisi che sta attraversando la nostra democrazia costituzionale, e il riemergere
di pulsioni discriminatorie e razziste, avrebbero dovuto far ritenere
prioritario tornare a investire sulla funzione sociale e di formazione della
persona da parte della scuola, ma testimoniavano anche gli esiti del
progressivo adeguamento a logiche neoliberiste delle politiche scolastiche del
centrosinistra (vedi il decreto sulla “Buona scuola”). Le prime ad accorgersi,
e ad approfittare, di questo processo paiono essere state proprio le
associazioni di rappresentanza d’imprenditori e industriali che, come risulta
da alcune recenti dichiarazioni di Confindustria, iniziano a richiedere alla
scuola e ai genitori, di investire prioritariamente sulla formazione di mano d’opera
funzionale alle esigenze delle aziende locali, senza preoccuparsi di frustrare
desideri e/o prospettive di vita differenti nei giovani.
Nel
mese di gennaio, infatti, il Presidente di Confindustria Cuneo, in una lettera
aperta alle famiglie (subito ripresa e rilanciata dal collega di Trento), le invitava
a riflettere sulla scelta che stavano per fare nell’iscrivere i propri figli
alle scuole superiori, “scelta dalla quale dipenderà gran parte del suo futuro
lavorativo, ma che spesso viene fatta dando più importanza ad aspetti emotivi e
ideali, piuttosto che all’esame obiettivo della realtà. Quella realtà,
tuttavia, che si imporrà in tutta la sua crudezza negli anni in cui il vostro
ragazzo cercherà lavoro … ”. Dopo questo preambolo “allarmante”, ecco il cuore
della proposta/richiesta: “Riteniamo che la cosa più giusta da fare sia capire
quali sono le figure che le nostre aziende hanno intenzione di assumere nei
prossimi anni e intraprendere un percorso di studi che sbocchi in quel tipo di
professionalità”. Se mai il figlio dimostri altre inclinazioni e/o desideri, la
lettera si concludeva con un richiamo a un’autorità genitoriale cui è demandato
il compito di sopire tali aspirazioni sentimentalmente irrazionali con “un
atteggiamento che potrete definire squisitamente razionale, ma che denota
responsabilità nei confronti dei nostri figli e del benessere sociale del
nostro territorio”.
Sembra
che si stia progressivamente affermando, con i caratteri dell’indiscutibilità
dogmatica, l’idea che la scuola (così come la politica) debba esser asservita
all’economia e che le logiche neoliberiste, improntate alla competizione, alla
meritocrazia, all’efficientismo, ne debbano caratterizzare organizzazione e
finalità. Per contrastare questa deriva, è opportuno ricordare che è proprio a
partire dall’idea di scuola che scegliamo di condividere, che poniamo le basi
per la società in cui noi e i nostri giovani potremo vivere e costruire il
nostro futuro.
Alcuni
anni fa il pedagogista Baldacci segnalava il progressivo smarrimento di questa idea
condivisa di scuola, senza la quale “si rischia la deriva dell’istituzione
scolastica, il suo smarrimento in un mare di richieste sociali disparate”. Nel formulare
la sua proposta chiariva preliminarmente i termini della questione,
sottolineando la stretta correlazione tra i problemi scolastici e quelli della
democrazia, soprattutto alla luce dei due principali paradigmi che sono
utilizzati per definire le finalità della scuola: “Nel paradigma del capitale
umano, attualmente dominante, la scuola è vista in funzione del sistema
economico: il suo compito è quello di formare produttori competenti, a
vantaggio della competitività delle imprese. Ovviamente la formazione dei
produttori è uno dei compiti del sistema d’istruzione, e sarebbe errato non
porsi la questione del nesso scuola/economia. Tuttavia, ridurre a ciò il
compito formativo è gravemente unilaterale, e denuncia una netta subalternità
all’economicismo neoliberista. Il paradigma dello sviluppo umano, dovuto ai
lavori di Sen e della Nussbaum, è invece centrato sull’espansione delle libertà
personali e vede l’istruzione come fattore di emancipazione individuale e di
promozione della democrazia. Secondo me un’idea di scuola deve portare a
sintesi questi due paradigmi, ma quello dello sviluppo umano deve essere
preminente e costituire la cornice entro la quale assimilare criticamente
elementi del paradigma del capitale umano”.
Le recenti
dichiarazioni cui si è fatto riferimento, e altre di egual tenore, sembrano
evidenziare come, purtroppo, quello che sta accadendo è una radicalizzazione
del paradigma del capitale umano, che porta non solo alla sostituzione dei
bisogni degli alunni con quelli delle aziende, ma al condizionare la stessa scelta
del percorso scolastico in funzione dei bisogni del mercato, stigmatizzando opzioni
formative diverse, anche se coerenti con attitudini e aspirazioni personali.
Tuttavia tale deriva è frutto di scelte politiche non inevitabili (in quanto
alternative a quelle basate sul paradigma dello sviluppo umano), e destinate a
penalizzare sia la crescita personale sia il progresso democratico e civile
delle nostre società, come la storia dovrebbe averci insegnato.
Nel
1934, infatti, alcuni anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Dewey,
colui che è stato il più influente pedagogista del secolo scorso, richiamava,
con lo sguardo rivolto all’Europa, la necessità di una filosofia
dell’educazione capace di orientare le politiche scolastiche: “Forse il maggior
bisogno che ci sia attualmente di una filosofia dell’educazione consiste nella
necessità urgente che si renda chiaro concettualmente ed effettivo praticamente
che la sua finalità è sociale, e che il criterio che si deve applicare per
giudicare il valore delle pratiche che esistono nelle scuole è anch’esso
sociale”. La finalità sociale e la stretta relazione tra educazione e
democrazia, dovevano, secondo l’autore, essere aspetti prioritari e centrali per
la scuola principalmente per due ragioni. La prima era di carattere economico:
“In un mondo che in così vasta misura si è impegnato in una corsa pazza e
spesso brutalmente dura verso le conquiste materiali mediante una spietata
concorrenza, è compito della scuola di compiere uno sforzo incessante e intelligentemente
organizzato per sviluppare al di sopra di ogni altra cosa la volontà di
cooperazione e lo spirito che vede in ogni altro individuo una persona che
possiede un diritto uguale di prendere parte ai prodotti materiali e morali
delle scoperte, della produzione, dell’abilità e delle conoscenze collettive
degli uomini. Che questa finalità predomini nella mente e nel carattere è reso
necessario, per ragioni diverse, dall’abbattimento dello spirito d’inumanità promosso
dalla concorrenza e dallo sfruttamento economico”. La seconda ragione era di
tipo sociale: “L’altro bisogno specialmente urgente oggi si riferisce
all’ondata senza precedenti di sentimento nazionalistico, di pregiudizi
razziali e nazionali, di prontezza a far ricorso alle armi per risolvere i problemi,
che anima il mondo attualmente. A meno che le scuole del mondo s’impegnino in
uno sforzo comune per ricostruire lo spirito della comprensione comune, della
simpatia e della buona volontà reciproca fra tutti i popoli e tutte le razze,
allo scopo di esorcizzare il demone del pregiudizio, dell’isolamento dell’odio,
le scuole stesse verranno probabilmente sommerse dal ritorno generale di
barbarie che sarà certamente il risultato delle tendenze attuali, se esse
proseguiranno non frenate dalle forze che soltanto l’educazione può suscitare e
fortificare”.
Non
è difficile rilevare come le questioni economiche e sociali relative sia a un
mercato sempre più aggressivo, destinato a fagocitare chiunque, sia al
diffondersi di logiche e pulsioni razziste e nazionaliste, siano di particolare
attualità oggi come ieri.
Le
raccomandazioni di Dewey rimasero lettera morta e cinque anni dopo iniziò la
tragedia della seconda guerra mondiale. E’ difficile prevedere quali saranno le
nostre prospettive future, tuttavia sarebbe opportuno, per evitare di reiterare
gli errori del passato, provare a soffermarsi nuovamente sul senso delle parole
del pedagogista americano, e cercare di recuperare un’idea di scuola che non
sia subordinata alle logiche neoliberiste e di mercato, ma che promuova la
formazione di persone prima che di produttori/consumatori e la realizzazione di
una società schiettamente democratica, poiché, dopo tutto, la causa della
democrazia “è la causa morale della dignità e del valore dell’individuo”.
Breve
bibliografia di riferimento:
- Baldacci
M., Per un’idea di scuola. Istruzione,
lavoro, democrazia. Franco Angeli, Milano, 2014.
- Dewey
J., L'educazione di oggi, La
Nuova Italia, Firenze, 1950
- Dewey
J., Il bisogno di una filosofia dell’educazione,
The New Era, novembre 1934.
- L'educazione
disinteressata, il Manifesto, 27/02/2014
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