Loris Bertocco è recentemente ricorso all'eutanasia in una clinica svizzera per porre termine alle sue sofferenze ritenendo che non valesse più la pena di vivere una vita la cui qualità, per lui, non era più accettabile. Dalla narrazione della sua vita emerge un quadro di progressivo abbandono sociale che chiama in causa l'intera società e le sue responsabilità. Una vicenda che ripropone con forza l'attualità, pur nella diversità di contesti e vicende personali, di alcune considerazioni di A. Artaud relative al suicidio di V. Van Gogh espresse nel libro: "Van Gogh, il suicidato della società". Una società che non vuole affrontare le proprie contraddizioni e che continua a sacrificare i diritti e la dignità delle persone sull’altare degli interessi politici e delle esigenze di bilancio è, purtroppo, destinata a “suicidare” (anche “solo” socialmente parlando) molte altre vite.
“Sono
Loris, vi chiedo la possibilità di accompagnarmi in questo percorso e
vi racconto la mia storia”. Con queste parole si apre il racconto autobiografico di Loris Bertocco, la cui vita si è conclusa nei giorni scorsi
con la sua scelta di ricorrere all’eutanasia in una clinica svizzera. Scorrendo
la narrazione di una vita attraversata e, in seguito, completamente dominata da
una grave malattia che nell’ultimo periodo richiedeva un’assistenza continua, e
che l’ha condotto a scegliere di porre fine a quella che era diventata
un’esistenza che riteneva ormai non valer più “la pena di essere vissuta”, è
difficile non rimanere colpiti sia dalla forza e dalla volontà di vivere di
Loris, sia dall’accanirsi della vita stessa nei suoi confronti, con sofferenze
e frustrazioni progressivamente crescenti, un vero “calvario” come lo definisce
lui stesso. Un ulteriore elemento, però, colpisce e indigna al tempo stesso: il
ruolo della società e dello Stato. Loris nella sua lettera torna spesso su quest’aspetto
che accompagna il lento ma inesorabile, aggravarsi della sua situazione dopo il
1977: “… Dal 1985 ho avuto il sostegno anche degli obiettori di coscienza … Questo
aiuto mi è stato dato fino al 2005 … Mia madre ha avuto problemi di salute: ha
dovuto operarsi nel 2001 per una grave ernia al disco e da quel momento in poi
non ha potuto più darmi la sua assistenza come nei periodi precedenti. … Questo
progressivo peggioramento complessivo ha portato nel 2011 mia moglie a non
riuscire più ad affrontare la situazione, … Oltre alla sofferenza emotiva dell’abbandono,
si faceva sempre più urgente il problema della mia assistenza, che non poteva
non essere affrontata con urgenza … Dal 2011 in poi, mancando il supporto di
mia moglie e avendo bisogno di assistenza 24 ore su 24, ho tentato di accedere
ad ulteriori contributi straordinari della Regione Veneto per casi di
particolare gravità. … Mi sono trovato comunque varie volte senza assistenza da
solo a letto, senza potermi lavare o andare in bagno e rischiando di essere
ricoverato in istituto. … Dal 2013 ho avuto la fortuna di incontrare Mirela,
molto brava e paziente, che mi assiste tutto il giorno e anche nei giorni
festivi. … Se non fosse stato per la sua indispensabile presenza, sarei
sicuramente ricoverato in qualche istituto. … Nel caso di una sua eventuale
difficoltà farei fatica a trovare una persona che la sostituisca e nel breve
periodo sarebbe una cosa impossibile. … Il muro contro il quale ho continuato per
anni a battermi è più alto che mai e continua a negarmi il diritto ad una
assistenza adeguata. … Anche Mirella, dopo quattro anni con me, non ce l’ha più
fatta a seguirmi quotidianamente. … Se, dopo la separazione da mia moglie,
avessi avuto la possibilità di giovarmi di due persone qualificate e motivate,
soprattutto in questi ultimi sei anni, la mia vita sarebbe stata un po’ più
facile e dignitosa. … Perché è così difficile capire i bisogni di tante
persone in situazione di gravità, perché questa diffidenza degli
amministratori, questo nascondersi sempre dietro l’alibi delle ristrettezze
finanziarie, anche quando basterebbe poco, in fondo, per dare più respiro,
lenimento, dignità? … Sono convinto che, se avessi potuto usufruire di
assistenza adeguata, come ho già detto, avrei vissuto meglio la mia vita,
soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la
scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze”.
Pare
di poter udire, nel concludere la lettura della vita di Loris, un grido che
rievoca quello lanciato duemila anni fa al termine di un altro “calvario”: “Perché
mi hai abbandonato”. Un grido, però, che non è rivolto a Dio, o almeno non solo, bensì a ognuno di noi e a tutta una società che,
sempre più, sembra abbandonare le persone in difficoltà a se stesse,
riconoscendo diritti e dignità quasi esclusivamente sulla base di disponibilità
finanziarie. Una società che costringe troppe persone a una vita che non
riescono più a ritener degna di essere vissuta e dalla quale vedono come unica
via d’uscita, la possibilità di una scelta di morte che considerano essere
maggiormente dignitosa.
In
questi stessi giorni non è difficile imbattersi nella promozione pubblicitaria
di una nuova opera cinematografica su Vincent Van Gogh, il grande pittore costretto
a una vita di stenti e internamenti istituzionali, anch’egli morto suicida. A
proposito della sua morte A. Artaud scrisse il breve libro “Van Gogh il
suicidato della società”, in cui si può leggere un impietoso giudizio sulla
società stessa che, secondo l’autore, lo “costrinse” a por fine alla propria
esistenza: “Le cose vanno male perché la coscienza malata ha un interesse
capitale in quest’epoca a non venir fuori dalla propria malattia”. Le
differenze di contesti storico sociali e personali rendono difficilmente
sostenibile un parallelo tra le due storie personali, tuttavia tali
considerazioni di A. Artaud sembrano rappresentare ancor oggi un monito e un
avvertimento da prendere in seria considerazione, perché una società che non
vuole affrontare le proprie contraddizioni e che continua a sacrificare i
diritti e la dignità delle persone sull’altare degli interessi politici e delle
esigenze di bilancio è, purtroppo, destinata a “suicidare” (anche “solo” socialmente
parlando) molte altre vite: “Perché non è stato a forza di ricercare l’infinito
che Van Gogh è morto, che è stato costretto a soffocare di miseria e di
asfissia, è stato a forza di vederselo rifiutare dalla turba di tutti quelli
che, quando ancora era in vita, credevano di possedere l’infinito contro di lui
…”.
Commenti
Posta un commento