Il caso del regolamento
discriminatorio della scuola svizzera di Milano è stato l’occasione per avviare
un dibattito sul tema dell’inclusione, anche in relazione alla mai superata presenza
delle scuole speciali nel nostro paese. Da una lettera aperta ripresa da “Il
Giorno” ho tentato di sviluppare una riflessione che, senza pretese di indicare
strade e/o soluzioni, ha il proposito di sollecitare dubbi e interrogativi
utili a mantenere viva l’attenzione sulla necessità di sostenere e attualizzare
costantemente le conquiste del passato in ambito scolastico e promuovere la
condivisione di una cultura inclusiva. Di seguito la “prima lettera aperta”, la
risposta del Direttore de Il Giorno S. Neri e la “seconda lettera aperta”.
Prima “lettera aperta”, 30 luglio 2017
“Regolamenti discriminatori” svizzeri
e “scuole speciali” italiane.
La
scuola Svizzera di via Appiani a Milano, nel proprio regolamento, recentemente
approvato, evidenzia di non essere un contesto "ottimale per studenti
affetti da disturbi dell'apprendimento, quali: dislessia, discalculia, Adhs,
Sindrome di Asperger, autismo e disturbi comportamentali", specificando,
inoltre, che “essendo su più livelli e senza ascensore, non è adatta a studenti
con gravi handicap motori”. La generale ondata d’indignazione sollevata dal
documento discriminatorio, cui mi associo, ha visto in prima fila non solo
associazioni e cittadini ma anche diversi rappresentanti politici, tra cui la
Ministra dell’istruzione Fedeli e il Sindaco di Milano Sala, e mi sembra un
buon segnale in un periodo in cui i diritti degli studenti con disabilità nel
nostro paese sembrano essere spesso disattesi. Credo, tuttavia, che il problema
sollevato dal "regolamento svizzero", dovrebbe anche interrogarci
sulla reale inclusività del sistema scolastico italiano, in cui gli alunni con
disabilità continuano ad affrontare svariate difficoltà e discriminazioni, in
cui, secondo i dati ISTAT 2016, circa il 25% degli edifici scolastici presenta
ancora barriere architettoniche (scale non accessibili) e servizi non a norma,
e che vede ancora, nella sola regione lombarda, la presenza di 24 “scuole
speciali”, frequentate da circa 900 bambini con disabilità (come ben evidenziato
da due recenti saggi: "L'attrazione speciale" e "Le scuole
speciali in Lombardia"). Mi auguro che dalla positiva mobilitazione di questi
giorni di fronte a questo inaccettabile regolamento scolastico, si sviluppi una
più ampia riflessione sulla necessità e sull’urgenza di promuovere e sostenere
la prospettiva inclusiva nella scuola, con progettualità specifiche e con
adeguati investimenti, per evitare di alimentare, magari indirettamente, il
riemergere di una cultura discriminatoria ben rappresentata dal regolamento
incriminato.
Pubblicazione su Il Giorno, 01 agosto
2017
Scuole, i diritti dei disabili da
rispettare
La
lettera:
Caro
direttore, il problema sollevato dal regolamento della scuola svizzera di
Milano invita a interrogarci sulla reale inclusività del sistema scolastico
italiano. I diritti degli studenti con disabilità sembrano essere spesso
disattesi. A 40 anni dall’approvazione della L. 517/77 e a 10 dalla ratifica
della Convenzione Onu in materia, gli alunni con disabilità continuano a dover
affrontare svariati problemi e subire discriminazioni dirette e indirette.
Secondo i dati Istat 2016, circa il 25% degli edifici scolastici presenta
ancora barriere architettoniche e servizi non a norma, e sono ancora presenti
“scuole speciali”, 24 nella sola Lombardia, frequentate da circa 900 bambini
con disabilità. Domenico
Massano
La
risposta:
Condivido
le sue considerazioni sulla questione dell’inclusione e sulla necessità di
una reale applicazione della legge Bes, Dsa e diversamente abili. Però con dei
distinguo. Se veramente la scuola svizzera di Milano ha emanato un reglamento
nel quale si dissuade a frequentare l’istituto per motivi
"ufficialmente" di strutture, il problema è molto più serio. In
questo caso parleremmo di una vera esclusione formale, giustificata da motivi
oggettivi. E ciò non potrebbe accadere nelle scuole italiane. Anche la legge
107 del 2015 ribadisce con forza il principio dell’inclusività e dà indicazioni
per la realizzazione di piani scolastici per l’inclusività da rendere pubblici.
La tradizione educativa italiana è importante ed è stata la prima in Europa a
parlare di integrazione a pieno titolo di alunni diversamente abili. I piani
operativi nazionali sono tutti rivolti all’inclusione sociale e culturali; le
loro finalità sono principalmente rivolte a una scuola aperta in cui le
differenze possano convivere. Certo, di contro, i mali storici della scuola
italiana colpiscono soprattutto i più svantaggiati, ma per il vizio del nostro
Paese di non passare mai dalla teoria alla pratica. sandro.neri@ilgiorno.net
Seconda “lettera aperta”, 01 Agosto
2017
Cultura inclusiva e cultura
discriminatoria
Gentile
direttore, ho letto lo stralcio della mia lettera da lei pubblicato e la sua risposta.
Devo dire che vederne il contenuto un po’ alterato dai tagli fatti (ad es. a
proposito dell’inaccettabile contenuto discriminatorio del regolamento), un po’
mi è spiaciuto, ma me ne son fatto una ragione poiché è servito per riaffermare
il valore dell’impianto inclusivo della nostra scuola e ribadire la condanna di
ogni tentativo discriminatorio.
Vorrei,
tuttavia, provare a riprendere un concetto che forse non sono riuscito a
esprimere in modo sufficientemente chiaro. Di fronte al regolamento della
scuola svizzera abbiamo almeno due possibilità interpretative. Da una parte potremmo
pensare che si sia trattato di un episodio isolato, di uno scivolone da parte
di persone che non solo non hanno ancora acquisito la cultura inclusiva italiana,
ma non hanno neppure saputo rispettarla. D’altra parte, al contrario, potremmo
ritenere che non si sia trattato di un fatto estemporaneo, ma di un segnale, di
un’espressione per quanto marginale e minoritaria di un pensiero e di una
cultura se non discriminatoria, certamente non proprio inclusiva.
Nella
mia lettera cito le scuole speciali. Anche se pochi pensano che esistano
ancora, basta digitare “scuola speciale Milano” su un motore di ricerca per
vederne comparire diverse, ad esempio la Scuola
primaria speciale statale P. e L. Pini che “accoglie unicamente alunni con
gravi e plurime disabilità”, e la Scuola
speciale infanzia ed elementare Don Gnocchi (4 istituti differenti) che
richiede come condizione necessaria per l’iscrizione “che l’utente necessiti di
interventi riabilitativi che il Centro della Fondazione don Gnocchi in cui la scuola
è inserita, eroga in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale”. Colpisce
il fatto che alcune scuole speciali specifichino di non accogliere solo bambini
con quadri clinici e sanitari particolarmente gravi e compromessi, ma anche “allievi
con discrete capacità cognitive, linguistiche e manipolative” per cui si
prevedono “obiettivi legati al pregrafismo, precalcolo, riconoscimento e
utilizzo finalizzato dei simboli convenzionali … svolgimento e
interiorizzazione di semplici attività sociali …”, come riportato sul sito
della Scuola speciale Daniela Mauro. Non
sono, comunque, ammesse iscrizioni di alunni senza disabilità, creando, di
fatto, un contesto che rappresenta una forma di adattamento “improntata a una
logica di segregazione categoriale”, come ben evidenziato nelle conclusioni del
recente saggio “L’attrazione speciale” a cura di G. Merlo.
Un
altro elemento particolarmente significativo, riportato nello studio “Le scuole
speciali in Lombardia” di L. D’Alonzo, è che spesso la scuola speciale non è la
prima scelta delle famiglie, ma è una soluzione di ripiego legata alle
difficoltà e ai problemi incontrati nel precedente percorso scolastico
ordinario, in alcuni casi “consigliata” da professionisti esterni e interni
alla scuola tra cui, occasionalmente, i docenti stessi e/o il Preside.
Magari
mi sbaglio e le due questioni non sono legate, tuttavia ritengo che le strade
che conducono a “discriminazioni dirette, formali e legate a elementi oggettivi”,
spesso sono lastricate dai tanti “consigli informali ad personam” e dalle diverse
discriminazioni indirette di cui sono vittime gli studenti con disabilità.
Lei afferma
che “I piani operativi nazionali sono tutti rivolti all’inclusione sociale e
culturale; le loro finalità sono principalmente rivolte a una scuola aperta in
cui le differenze possano convivere”. Personalmente concordo ma è così sicuro
che questo sia patrimonio comune? Secondo lei aver formalizzato la prospettiva
inclusiva della nostra scuola è una garanzia sufficiente per tutelarci da
derive discriminanti ed è un principio ormai generalmente acquisito nel nostro
paese?
A
tal proposito le riporto un parere di un esperto citato nel recente documento su
“Il diritto alla salute dei minori diversamente abili”, approvato dalla
Commissione bicamerale sull’infanzia e l’adolescenza: “Un bambino o un
adolescente affetto da ritardo mentale può trarre grandi vantaggi da un progetto
riabilitativo in regime semiresidenziale, che a volte si sostituisce anche alla
scuola”. Dallo stenografico della seduta in cui era stato convocato l’esperto, si
può rilevare come il discorso fosse stato più ampio, facendo da una parte riferimento
a progetti di alternanza centro/scuola ma dall’altra specificando anche come il
centro sia frequentato da diversi minori che “hanno l'esenzione dall'obbligo
scolastico perché sono affetti da ritardo mentale grave”. Mi pare che quanto
riportato dall’esperto fotografi una prassi (esonero dall’obbligo scolastico e
inserimento in centro semiresidenziale) pericolosa, e di fronte alla quale
ritengo preoccupante il silenzio dei 40 parlamentari componenti la Commissione,
nessuno dei quali si è preoccupato di stigmatizzare e/o mettere in discussione
tali affermazioni.
Gentile
Direttore, forse essendo un po’ più pessimista di lei, sono propenso a pensare
che il caso del regolamento discriminatorio della scuola Svizzera non nasca dal
nulla, ma abbia trovato terreno fertile nell’affievolirsi dell’attenzione e del
rispetto di quei valori e diritti che fanno dell’inclusione uno dei pilastri
del nostro sistema scolastico. Un problema non solo di forma ma anche di
sostanza che renderebbe, a parer mio, auspicabile l’avvio di “una più ampia
riflessione sulla necessità e sull’urgenza di promuovere e sostenere la
prospettiva inclusiva e i diritti degli alunni con disabilità nella scuola (e
nella società), per evitare di alimentare, magari indirettamente, il riemergere
di una cultura discriminatoria”.
Cordiali saluti
Domenico Massano