Lettera aperta ai radicali

All’attenzione di
Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito
Radicali Italiani

Cari Radicali,
chi vi scrive per un periodo della sua vita è stato vostro compagno di e sulla strada e, oggi, assiste con un po’ di amarezza a quanto sta succedendo (perciò proverà a portare il suo piccolo contributo). Guardando l’attuale situazione non mi stupisce più di tanto il processo, in parte prevedibile, di progressiva scissione di quella galassia radicale che gravitava attorno al carisma e alla capacità attrattiva del suo indiscusso leader: Marco Pannella. Tale scissione mi pare, però, che si stia trasformando (posto che non sia già così), in un’insanabile contrapposizione tra due “anime” radicali.
Credo che i modi e i termini in cui questa frattura sta prendendo forma, non siano il “miglior contributo” che questa nostra democrazia potesse aspettarsi dai Radicali, in questo difficile momento storico. A prescindere dai contenuti, nel cui merito evito di entrare, sono i modi che mi colpiscono. E’ forse questo lo stile politico proposto e praticato nell’affrontare le divergenze da quei pochi irriducibili che, da sempre, hanno dimostrato che la nonviolenza, il dialogo, la laicità, la libertà, il rispetto dei diritti e della dignità di tutti, non devono restare retorica da palazzo o da regime partitocratico, ma si devono tradurre in azione politica e scelte di vita capaci di essere speranza per tutti? Che cosa vuol dire “essere speranza”, anche politica, oggi?

Il 09 febbraio 1967, (esattamente 50 anni prima dell’inviodell’ultima email “radicale” e delle successive reazioni “radicali”), moriva Ernesto Rossi, autore con Spinelli e Colorni del cosiddetto "Manifesto di Ventotene", e uno dei più autorevoli e stimati fondatori del Partito Radicale. Vorrei provare ad aggiungere alle celebrazioni “ufficiali” di questi giorni, il mio ricordo di alcuni passaggi di una sua lettera che, credo, valga la pena ripercorrere brevemente. Si tratta della risposta, datata 5 agosto 1963, che E. Rossi scriveva a un giovane e arrembante M. Pannella, a proposito delle difficoltà che il partito stava attraversando e alle rispettive differenze di vedute e posizioni in tal senso: "Siamo in così pochi a trovare l'accordo sulle direttrici fondamentali della lotta politica che mi sembra un grave errore non cercare di svolgere un'azione in comune. I problemi sui quali esistono differenze di opinioni potrebbero, secondo me, formare oggetto di pubblici dibattiti [...] risulterebbe così molto più efficace la nostra propaganda, specialmente tra i giovani, che vogliamo educare alla discussione e al non conformismo. Su tutto questo parlerò molto volentieri con lei dopo il mio ritorno a Roma; a meno che non voglia venirmi a trovare prima, [...] potrebbe venire solo, o insieme a Spadaccia o ad altri suoi collaboratori [...]”. Nella parte conclusiva della lettera E. Rossi chiariva ciò che intendeva per “azione politica”: "Può svolgere un'azione politica seria, nell'interesse generale, tanto chi lavora per formare una classe dirigente migliore per il futuro, quanto chi cerca di realizzare quello che è possibile subito, con le forze politiche esistenti; [...]".

Colpisce l'attualità di tali riflessioni, il richiamo a una maggiore consapevolezza della poliedricità dell'impegno politico, le cui ricadute devono essere viste sia nel breve sia nel lungo termine, sia in termini di azione sia di pensiero ma, soprattutto, il non dimenticare che i modi con cui si affrontano le diverse questioni e, in particolare, le criticità, sono la misura e la testimonianza della nostra cifra democratica. La divergenza di opinioni dovrebbe e potrebbe essere palestra e teatro di educazione laica e democratica per tutti. Mi pare che, purtroppo, tale insegnamento sia stato trascurato e, oggi, rischiamo di assistere a una sterile contrapposizione tra il dogmatismo radicale di alcuni contro la radicale indifferenza di altri e, parallelamente, di perdere un tesoro politico che non era fatto solo di battaglie e iniziative, ma anche di uno stile politico concretamente democratico. Perderlo, in un periodo in cui si assiste al progredire quasi inarrestabile di retoriche populiste e autoritarie, sarebbe una vera e propria sconfitta “radicale”. Mi auguro che questo momento di crisi possa essere superato e/o trasformato con fantasia radicale. Questo, credo, nell’attuale situazione politica potrebbe essere un bel modo di “essere speranza”.

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